Strage di Brescia. Stefano Delle Chiaie: “Esposti autore perfetto, se non fosse stato ucciso”

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Quando, nel 1983, Enzo Biagi volò avventurosamente a Bogotà per intervistarlo, Stefano Delle Chiaie, il “ricercato numero uno da almeno quattro servizi segreti”, come Biagi lo aveva definito, aveva 46 anni. Ormai da 24 aveva fondato il movimento Avanguardia nazionale (dalle ceneri dei Gruppi di azione rivoluzionaria e di una parte di Ordine nuovo) e da una dozzina viveva da latitante tra la penisola iberica, l’Africa centrale e il Sudamerica. Era fuggito una mattina di luglio del 1970 dal Palazzo di Giustizia di Roma, portando sulle spalle il peso di una condanna definitiva per la ricostituzione del Partito fascista. Sparì lasciando più di un conto aperto con la giustizia italiana; su di lui gravavano una pena di primo grado per il golpe Borghese e tre mandati di cattura per le stragi di piazza Fontana e di Bologna nonché per l’omicidio del giudice capitolino Vittorio Occorsio. Per tutti questi reati Delle Chiaie verrà successivamente assolto.

“Un rivoluzionario al servizio dell’idea”, si era descritto lui, rispondendo con cortese fermezza alle domande del decano del giornalismo italiano. Vestito con la sua inconfondibile “divisa” color kaki, seduto davanti a un albero secolare a Cùcuta, la foresta amazzonica sullo sfondo, Delle Chiaie – er caccola per i camerati che, negli anni, non lo hanno lasciato mai; “l’esponente più noto dell’Internazionale nera”, per gli atti giudiziari – aveva parlato anche dell’estraneità di Avanguardia nazionale alle stragi, Brescia compresa, e del livello a suo dire “banditesco” a cui, a quel tempo, era sceso lo Stato. Quattro anni dopo questa intervista verrà arrestato in Venezuela, estradato e rinchiuso in carcere fino al 1989.

Oggi il “rivoluzionario” nero amico del dittatore cileno Augusto Pinochet, di Leon Degrelle (il generale belga a cui Adolf Hitler disse: “Se io avessi avuto un figlio mi sarebbe piaciuto che fosse come voi”), dell’ufficiale nazista Klaus Barbie ma anche del principe Junio Valerio Borghese e di un altro principe, il “tradizionalista” Sixto Enrico di Borbone Parma, è un signore di 76 anni con i capelli grigi, la sigaretta perennemente accesa tra le labbra e con intorno molti camerati ancora rapiti dal suo carisma. E’ forse anche per loro che Stefano Delle Chiaie ha voluto scrivere “l’Aquila e il condor” (i simboli alati del nazionalsocialismo e del piano Usa per l’eliminazione del comunismo nel Cono Sur), un libro di 341 pagine realizzato con Massimiliano Griner e Umberto Berlenghini, pubblicato il mese scorso dalla “Sperling & Kupfer” con postfazione del giornalista Luca Telese.

“Di Brescia so poco”, mette subito le mani avanti, gettando l’ennesimo mozzicone dentro un posacenere ormai traboccante. “Si disse che l’autore dell’attentato era Giancarlo Esposti, peraltro mai entrato in Avanguardia. Io penso che se non fosse stato ammazzato dai carabinieri, per tutti sarebbe stato lui, l’Esposti, l’autore della strage, come qualcuno aveva evidentemente pianificato. Dopo la sua morte, comunque, nessuno si è mosso per capire e per scoprire chi avesse manovrato tutta la vicenda”.

Dietro a Delle Chiaie, in questa caldissima sala riunioni del circolo culturale romano Punto Zenith, campeggiano alcuni poster con immagini e scritte fasciste: tra questi una mezza figura in bianco e nero di Borghese.

“Ti dirò di più: poiché abbiamo sempre considerato gli stragisti dei delinquenti, nel 1976, all’indomani della riunificazione di Avanguardia con Ordine nuovo, e prima della mia partenza per l’Angola, abbiamo tenuto una riunione a Nizza per capire che cosa poteva essere successo a Brescia e per opera di chi. Alla fine, però, non riuscimmo a fare davvero luce perché ci trovammo davanti ad un intreccio che puntava a tirarci dentro tutti quanti. Credo che le stragi non appartengono ad una unica strategia”, continua, accendendosi un’altra sigaretta, “e gli elementi di diversità tra Milano e Brescia lo svelano. Di certo posso dire che il binomio Cia-estrema destra, i primi come “mente”, la seconda come fornitrice di manovalanza, è una tesi precostituita, spesso orchestrata dai pubblici ministeri e del tutto infondata”.

Per i fatti del 28 maggio1974 di recente sono stati assolti Francesco Delfino, Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Maurizio Tramonte. In riferimento a quella vicenda, nel marzo 2010 anche Stefano Delle Chiaie era stato sentito dai pm di Brescia, Francesco Piantoni e Roberto Di Martino, nell’ambito del processo di primo grado.

“I dettagli su piazza della Loggia non li conosco: posso dire però che negli anni si sono mescolate disinformazione, malafede, odio ideologico e qualunquismo. Sul generale Delfino posso raccontare invece un episodio, peraltro già riferito a suo tempo ai magistrati. Una giornalista americana – siamo nei primi anni Ottanta – aveva affermato di aver captato una conversazione tra Delfino e un’altra persona, appartenente al clan mafioso dei Gambino: ecco, in questa conversazione i due avrebbero parlato di un progetto di sequestro del sottoscritto e di Francesco Pazienza (il noto faccendiere iscritto alla loggia massonica P2 e coinvolto in moltissimi segreti italiani, ndr). Alla precisa richiesta di Delfino, l’interlocutore avrebbe risposto “no” per Pazienza e “sì” per me”.

Di segreti Delle Chiaie ne conosce a iosa. Tuttavia smentisce categoricamente di essere stato al soldo dei Servizi e in rapporti con il prefetto Federico Umberto D’Amato (“L’ho visto solo nelle aule giudiziarie”); ammette che il fatto più pesante della sua vita è stata l’accusa di stragismo (“Quando ero in gabbia, mi facevano molto male gli sguardi dei parenti delle vittime. Sapevo, sentivo che dicevano di me: «Eccolo, questo è il boia»”) e dichiara di non avere mai avuto alcun ripensamento. “Nessuno di Avanguardia si è mai pentito e credo che questo sia un fenomeno unico, tanto a destra come a sinistra. Malgrado gli anni  e le leggi – afferma sorridendo, mentre una nuvoletta di fumo si mescola con l’aria catramosa che impregna la stanza -, il vincolo di solidarietà e di appartenenza non si è spezzato”.

Monica Zornetta (Corriere della Sera, cronaca di Brescia, 4 luglio 2012)