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La forza del sole in una bolla per distruggere i super-inquinanti. Lo studio italiano.
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Riuscirà il veloce Achille a raggiungere la lenta tartaruga? Che cosa succederebbe se, in un grand hotel dalle infinite stanze, tutte occupate, arrivasse un nuovo, inatteso ospite? E, ancora: il gatto nella scatola in cui è contenuto anche del veleno è vivo o è morto?

Sono solo alcuni dei paradossi più celebri della storia che tutti i matematici, i filosofi e i fisici del mondo conoscono. E un paradosso, in fondo, è anche quello dell’acqua che si comporta come il fuoco, su cui da tempo lavorano gli scienziati del GPLab-Green Propulsion Laboratory del gruppo veneziano Veritas, che sperimenta e sviluppa tecnologie innovative nei settori dell’energia e dell’ambiente. L’acqua, in altre parole, può bruciare i veleni con cui viene in contatto? «Se la portiamo a pressioni di oltre 270 atmosfere e 400 gradi, in presenza di ossigeno l’acqua “brucia” tutte le sostanze organiche che contiene», è la risposta che dà Graziano Tassinato, il responsabile del laboratorio che ha sede a Fusina: «L’acqua diventa, in pratica, una fiamma in grado di distruggere anche le molecole inquinanti più pericolose come gli IPA (idrocarburi policiclici aromatici), cioè miscele di benzene, naftalene, benzopirene che sono presenti nel petrolio, nel carbone, nella carbonella e in molti prodotti della old industry di Porto Marghera, la più grande area industriale d’Europa, alle porte di Venezia». L’acqua che brucia, ricorda ancora Tassinato, viene anche utilizzata a livello sperimentale dall’esercito americano per distruggere gas nervini come il tristemente noto Sarin, peraltro prodotto proprio dagli Stati Uniti (e dall’Unione Sovietica) fino alla metà del secolo scorso.

Nell’ambito di un progetto europeo condotto in collaborazione con diverse aziende del territorio veneziano, i ricercatori del Green Propulsion Laboratory  hanno prelevato dai sedimenti della laguna veneta gli idrocarburi depositati da oltre un secolo di attività industriale, e tramite un reattore sperimentale ad acqua supercritica opportunamente chiamato Ade – in onore dell’Inferno della tarda antichità ma anche del dio degli Inferi – hanno osservato che la “superacqua” ha completamente distrutto la miscela di inquinanti e, quel che è altrettanto importante, lo ha fatto in maniera “pulita”, vale a dire senza rilasciare alcuna emissione all’esterno ma, al contrario, producendo quantità considerevoli di calore riutilizzato per recuperare energia.

GPLab e Veritas hanno il loro “banco di prova, o “laboratorio vivente”, a Venezia, la fragilissima città sul Canal grande che nei mesi scorsi si è candidata a diventare la Capitale mondiale della sostenibilità, e che, per questa ragione, ha previsto la realizzazione di numerose azioni di rilancio economico, ambientale e sociale come la decarbonizzazione dell’intera città e la riconversione green anche del polo di Porto Marghera. «Tutte le tecnologie sperimentate nel laboratorio di Fusina”, la cui attività, sottolinea il direttore generale di Veritas, Andrea Razzini, è interamente assicurata da risorse esterne (e non, come qualcuno potrebbe temere, dalle bollette degli utenti), «sono e saranno utili a tutti i nostri servizi, che vanno dalla gestione del ciclo dei rifiuti, al servizio idrico integrato, alla produzione di energia da fonti rinnovabili e da biomasse. Molti progetti, inoltre, si avvalgono della collaborazione dell’Università di Padova e di Ca’ Foscari di Venezia».

Razzini riconosce come nel capoluogo veneto non sia stata ancora vinta la sfida delle bonifiche sui terreni di dragaggio e dei trattamenti dei sedimenti portuali più o meno inquinanti, e spiega: «I progetti pilota del GPLab sono tutti esportabili nelle imprese e sono in grado di attuare quella transizione ecologica di cui oggi tutti parlano ma che per noi, da tempo ormai impegnati nella tutela concreta dell’ambiente, è una realtà ormai consolidata».

Monica Zornetta (Avvenire, 28 luglio 2021)