Batteri fotosintetici per idrogeno verde: la ricerca italiana all’avanguardia sulle rinnovabili

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La produzione di bioidrogeno più innovativa parte da microorganismi fotosintetici coltivati al Green Propulsion Laboratory di Fusina (Venezia) e approda all’Agenzia Spaziale Europea. Si chiamano batteri purpurei, sono tra noi da miliardi di anni, vivono nell’acqua e, al contrario di alghe e piante, fanno una fotosintesi strana: non producono ossigeno bensì idrogeno. Sono questi particolari microorganismi i protagonisti dell’esperimento Purple-B in corso al GPLab del Gruppo Veritas per la produzione biologica di idrogeno, alla luce (anche) del grande cambio di passo caldeggiato dalla Ue nel Patto verde europeo. Attualmente, infatti, l’80% della domanda di energia nel mondo è ancora soddisfatta dalle fonti fossili, e nonostante lo scorso anno, in concomitanza con il lockdown più o meno generale, i combustibili fossili abbiano registrato una delle crisi più pesanti della loro storia, per questo 2021 la IEA – International Energy Agency ha previsto ovunque un non felice aumento del 5% delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera.

A fronte di ciò, ecco che l’individuazione di nuove fonti di energia pulita e rinnovabile, ma anche di nuovi vettori energetici, è divenuta per tutti i governi occidentali una priorità, ed è in particolare sulla produzione di idrogeno green e, nello specifico, del bioidrogeno, che si stanno concentrando politiche, studi e investimenti economici.

«Il bioidrogeno si può produrre in vari modi: dalla dark fermentation di rifiuti organici (la stessa Veritas ha in campo un interessante progetto in questo senso, nda) oppure da microalghe, batteri, e altro», spiega Graziano Tassinato responsabile del GPLab Veritas. «Noi, rispetto alle ricerche in corso sulla produzione di idrogeno “verde”, abbiamo fatto un passetto più in là ed elaborato un progetto, il Purple-B, che vede coinvolti i batteri purpurei, immobilizzati in un gel trasparente all’interno di un bioreattore».

Gli scienziati hanno osservato che questi microorganismi, intrappolati in una sorta di spugna translucida in grado di trattenere anche minime quantità d’acqua, si riproducono in misura minore e, inoltre, le cellule hanno la capacità di mantenersi vitali per lungo tempo, riuscendo ad utilizzare non solo la luce ma anche le acque di scarico per produrre l’idrogeno; con tali premesse, afferma Tassinato, questa biotecnologia potrebbe funzionare anche nelle stazioni spaziali, dove l’assenza di gravità impedisce l’utilizzo di grossi volumi di acqua liquida. «Proprio in virtù di questa logica duale, Purple-B è stato selezionato da ESA nel contesto di un impiego sia terrestre che spaziale: e pensare che l’idea centrale della tecnologia è venuta un giorno di parecchi anni fa, alla mensa del Cnr di Firenze, davanti ad un piatto di bucatini», ricorda: «Da quel formato di pasta è nata l’idea della colonna cava dove immobilizzare e far produrre idrogeno alle cellule purpuree».

L’idrogeno è l’elemento che per primo si è formato subito dopo il big bang ed è anche il prezioso vettore energetico su cui non solo l’Europa, con il Next Generation Eu, ma anche il governo italiano stanno puntando forte: nel secondo caso, dedicandogli una delle componenti delle sei missioni del Recovery Plan (“Energia rinnovabile, idrogeno e mobilità sostenibile”) per la quale ha stanziato un totale di 18,2 miliardi di euro sui 222 del Piano del rilancio.

«Non sempre sperimentiamo per inventare: spesso lo facciamo per migliorare cose che esistono già», dichiara Andrea Razzini, il direttore generale del Gruppo Veritas, «nell’ottica di valorizzare un’economia veramente sostenibile e circolare. Faccio spesso l’esempio del sacchettone della spesa che si usava una volta, lo shopper che non si rompeva mai ma che impiegava mille anni per decomporsi: noi al GPLab lavoriamo insieme alle Università di Padova e di Venezia per produrre sacchetti biodegradabili realizzati con materiali ottenuti dalla “lavorazione” dei fumi industriali. Lo stesso avviene con il bioidrogeno: esiste già, ci stanno lavorando in molti, ma noi vogliamo provare a vedere se riusciamo a produrlo meglio e anche questa attività fa parte di quelle che stanno emergendo all’interno del cosiddetto green deal europeo».

Monica Zornetta (Avvenire, 23 luglio 2021)