Strage di Brescia. Roberto Besutti, l’ex parà indicato come cattivo maestro. Gli amici: “No, era un mite”

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“Roberto un cattivo maestro? Ma fatemi il piacere!”. Gli amici di una vita del dirigente del Movimento politico Ordine nuovo di Mantova, Roberto Besutti, scomparso nel 2012 a 70 anni, commentano così la notizia del suo presunto coinvolgimento nella nuova inchiesta della Procura di Brescia sui fatti del 28 maggio 1974.

Il suo nome, più volte finito nelle indagini coordinate dalla magistratura italiana sugli estremismi di destra, sulle stragi insolute e sulle organizzazioni clandestine costituite da civili e da militari al fine di “stroncare l’infezione [comunista] prima che essa divenga mortale”, è stato di recente accostato da Giampaolo Stimamiglio – l’ex ordinovista veronese che sta collaborando con gli inquirenti bresciani – a quello di  Marco Toffaloni, l’allora sedicenne neofascista con i capelli corti e la fossetta sul mento che, a detta del “pentito”, la mattina del 28 maggio si sarebbe trovato in Piazza della Loggia.

“Ho avuto un ruolo non marginale nella strage”, gli avrebbe confidato il giovane, una “testa calda” che i camerati scaligeri conoscevano con il soprannome di tomaten. Vicino al gruppo Ludwig e, secondo Stimamiglio, allievo di Besutti e del fraterno amico di questi, Elio Massagrande da Isola Rizza, negli anni Ottanta era finito al centro di una inchiesta sulla banda per metà bolognese e per metà veronese chiamata Ronde Pirogene Antidemocratiche, attiva nel capoluogo emiliano con incendi finalizzati alla “purificazione” di tutto ciò che riteneva essere impuro.

Toffaloni, che oggi ha 57 anni e da molto tempo risiede a Schaffhausen, nella Svizzera settentrionale, è accusato di concorso in strage dalla Procura di Brescia.

“Roberto non era affatto come l’hanno dipinto i giornali”, spiega la vedova di Besutti, Laura Ferretti, sposata nel 2005 dopo un’attesa (da parte di lei, poiché già maritata) durata quasi trentanni. “Su mio marito è stato detto di tutto e adesso che non c’è più, perché un ictus me lo ha portato via, se ne esce anche questo Toffaloni, implicato nella strage di Brescia. Ho letto che sarebbe stato vicino a Roberto… Ma non esiste proprio”, lo difende la signora, che vive con il figlio nell’appartamento che fu di Besutti, in centro città. “Chi dice queste cose ha solo bisogno di farsi pubblicità. Se le cose fossero andate come sostiene quella persona io lo saprei: ero al corrente di tutto quello che Roberto faceva”.

“Noi che lo abbiamo conosciuto escludiamo che lui c’entri in qualche modo con le stragi o con l’educazione stragista di qualche ragazzino esaltato”, sostengono anche gli amici. “Non ha mai creduto in un avvenire originato dai massacri quanto, invece, dai diciotto punti del Manifesto di Verona. Per Roberto la nuova Italia sarebbe dovuta nascere solo da lì. Era convinto che le stragi fossero state pensate e organizzate dallo Stato per colpire il movimento neofascista italiano attribuendogli responsabilità non sue”.

Tuttavia pochi anni prima della carneficina bresciana il geometra Besutti, insieme all’amico Massagrande e con altri ordinovisti veneti e alcuni parà, era solito frequentare le riunioni della V Legione dei Nuclei di difesa dello Stato (la struttura segreta dipendente dallo Stato maggiore dell’Esercito) organizzate a Verona. I Nuclei, ha messo nero su bianco nel 1995 il giudice Guido Salvini nella sentenza-ordinanza del primo troncone d’inchiesta su Piazza Fontana, sarebbero stati disciolti probabilmente nel 1973 e i suoi “quadri sono stati forse riciclati in Gladio e in altri organismi simili”. Ad averne parlato, scrive ancora Salvini, sono state otto persone, “fra cui uno dei suoi responsabili, Amos Spiazzi”, ed Enzo Ferro, un trentino che aveva svolto il servizio militare fra il 1969 e il 1970 presso la Caserma “Duca” di Montorio e che venne reclutato per questa operazione in funzione anticomunista proprio dall’allora maggiore Spiazzi. “Alle riunioni presenziavano diversi civili, anche di Verona, e cioè persone non in servizio militare […] c’erano vari amici di Spiazzi di Verona che avevano una ideologia più fanatica ed erano quelli di Ordine nuovo di Verona. Costoro erano sette o otto. Ricordo Massagrande, Besutti, [Claudio] Bizzarri, che è un ex alpino, Stimamiglio, che era una persona più tranquilla, ed altri due o tre, con l’aria da paracadutisti, uno dei quali prendeva sempre appunti. Di questi ultimi non ricordo assolutamente i nomi. D’altro canto si parlava poco e si usava sempre il nome in codice”.

“Nuclei di difesa dello Stato, Rosa dei venti, Gladio: sono tutte etichette di comodo”, afferma un signore settantenne che gravitava in ambienti fascisti e che preferisce restare anonimo, “ma ad ogni modo sì, mi risulta che Besutti e anche Massagrande ne facessero parte”.

D’altro canto sono più d’uno gli episodi che lo confermerebbero. Sebbene il fascicolo processuale sia scomparso, si sa per esempio che nel maggio 1966, a seguito di indagini della squadra mobile di Verona partite quasi per caso dopo una rapina, vennero arrestati Besutti e Massagrande e denunciati Marcello Soffiati e Marco Morin per detenzione di armi, munizioni ed esplosivi. Secondo quanto raccontò Soffiati al giudice istruttore di Padova, Giovanni Tamburino, impegnato nell’inchiesta sulla Rosa dei venti, “le armi che vennero sequestrate ad un certo punto ci erano state date in parte dai carabinieri, ciò almeno a detta del Besutti. Quando fummo arrestati, non appena Besutti disse al pubblico ministero che le armi erano state date in parte dai carabinieri, non passarono due giorni che ci trovammo liberi, anche perché passammo per collezionisti, malgrado fossero stati sequestrati degli esplosivi”. L’altra parte dell’arsenale, aggiungerà nel 1996 un altro ordinovista, Carlo Digilio, proveniva invece da Theodore “Teddy” Richards, l’ufficiale americano di stanza alla base Setaf di Vicenza, il quale poi “si preoccupò di far sparire il fascicolo processuale dal Tribunale di Verona […]. Per Richards si era trattato di un episodio squalificante in quanto aveva ceduto con imprudenza armi della caserma a persone estranee all’ambiente militare”.

“Roberto io l’ho conosciuto nel lontano 1955, a Verona”, ricorda ancora l’uomo che preferisce restare senza nome, “eravamo entrambi di Mantova però andavamo a scuola nella cittadina veneta. Roberto, figlio di un geometra, stava piuttosto bene economicamente e frequentava uno dei primi istituti per il recupero degli anni scolastici. Posso dire che da quell’anno tra noi è cominciata un’amicizia durata, tra alti e bassi, per tutta la vita”.

Molto parco e riservato, idealista e agnostico, Besutti, a detta dell’amico, collezionava armi e cimeli bellici, era uno specialista nei lanci col paracadute e un appassionato di libri di storia militare: soprattutto se gli argomenti erano la Repubblica sociale italiana e la Brigata Folgore. Lui stesso, ad un certo punto, ha scritto un volume sul paracadutismo pubblicato da una piccola casa editrice nel 1973.

Il suo impegno politico cominciò alla fine di ottobre del 1956, quando in Ungheria scoppiò la rivoluzione anti-sovietica. “Eravamo molto impressionati da ciò che stava succedendo in quel Paese e per questo avevamo deciso di organizzare una grande manifestazione a Verona e alcune altre iniziative in favore degli insorti. Le mobilitazioni erano durate per tre o quattro giorni, e ricordo che alla manifestazione, insieme alla celere, c’erano pure molti infiltrati. Poi io e Roberto ci siamo persi di vista per diversi anni”.

Anni in cui il parà mantovano, legatissimo a Verona, segue con interesse le iniziative di Pino Romualdi prima, e di Pino Rauti poi, fino a scegliere di abbandonare, per divergenze di vedute, il Centro studi Ordine nuovo e costituire, insieme con Massagrande e con Clemente Graziani, il 21 dicembre 1969, il Movimento politico Ordine nuovo: “Una formazione rivoluzionaria al di fuori degli schemi triti e vincolanti dei partiti – è la definizione che essi stessi hanno dato in una lettera del 21 novembre 1969 ai camerati – , una formazione agile, adeguata alle esigenze della situazione politica attuale e strutturata secondo i criteri propri delle minoranze rivoluzionarie”.

Anni, ancora, nei quali finisce nei guai per possesso di armi; in cui compie il famoso viaggio in motonave dal porto di Brindisi alla Grecia insieme ad altri giovani neofascisti (nel 1968, un anno dopo il colpo di Stato dei colonnelli) e, contemporaneamente, coltiva la sua più grande passione, insieme alla politica: il paracadutismo.

“Roberto era un ragazzo audace: il primo lancio l’ha fatto quando ancora era minorenne, tanto da aver avuto bisogno dell’autorizzazione del padre”, ricorda Claudio Fantoni, il suo primo insegnante, a Mantova. “Abbiamo fatto molti lanci insieme anche se lui mi ha decisamente superato: credo che nella sua carriera ne abbia fatti più di duemila”.

Addestrato a Pisa, dove aveva svolto il servizio militare come sottotenente dei parà, Besutti era poi diventato membro del direttivo della locale associazione paracadutisti e successivamente suo presidente.

“So che aveva la tessera di socio onorario della Decima Mas: una volta siamo pure andati insieme al Grand Hotel Milano di Peschiera del Garda, nel Veronese, per partecipare ad un incontro con tutti i reduci. E ancora insieme, credo fosse stata la prima metà degli anni Sessanta, siamo andati a pranzo con Giorgio Almirante e altri missini, in un posto qui a Mantova.

“Ho letto anche io recentemente sul giornale frasi del tipo “cattivo maestro” riferite a Roberto… ma francamente non ce lo vedo. Non era un esaltato o un fanatico, come tante volte è stato scritto, ma semplicemente una persona convinta delle proprie idee. Aveva quella determinata tendenza politica ma non andava di certo in giro a sbandierarla. Ricordo quella volta che la Digos l’ha arrestato in pieno centro a Mantova: sembrava avessero catturato Al Capone”, racconta Fantoni, sorridendo. “Besutti stava passeggiando nei pressi del Teatro sociale, che poi era il luogo dove lui e i suoi amici si ritrovavano, quando all’improvviso alcuni poliziotti lo hanno circondato e ammanettato, in mezzo alla gente. I giornali del tempo avevano scritto che in quel momento aveva con sé pure una pistola, ma invece so che non era così: Roberto non girava mai armato. Era troppo intelligente per non capire che era cosa saggia non portare con sé un’arma”.

Sebbene fosse molto amico di Massagrande, l’enigmatico Besutti non era come lui, quantomeno a detta di chi ha conosciuto entrambi. “Massagrande era uno dei violenti, una specie di delinquente, se possiamo dire così. Roberto invece era una persona tranquilla e posata. Avrebbe potuto andarsene anche lui in Paraguay, come ha fatto Elio durante la latitanza, diventando peraltro molto ricco, o da qualsiasi altra parte del mondo, ma la verità è che non amava allontanarsi dalla sua Mantova”. E, patrocinando da qualche anno un importante memoriale di paracadutismo a lui intitolato, anche la sua città dimostra di non averlo affatto dimenticato.

Monica Zornetta (Corriere della Sera, 24 maggio 2015)

http://brescia.corriere.it/notizie/cronaca/15_maggio_25/roberto-besuzzi-l-ex-para-indicato-come-cattivo-maestro-amici-no-era-mite-49a2e030-02b5-11e5-955a-8a75cacacc9d.shtml