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La prossima volta che entrate in un supermercato provate a fare attenzione alla quantità di prodotti per eliminare gli insetti che trovate sugli scaffali. Ci sono insetticidi, dispositivi di controllo, spray congelanti, spirali e molto altro. E quando uscite, provate a dare uno sguardo alle poche aree verdi rimaste nei nostri paesi e nelle nostre città: vedrete che i prati incolti – cioè l’habitat perfetto degli insetti – sono stati sostituiti da campi coltivati in maniera intensiva, con abbondanza di fertilizzanti e pesticidi, o da lottizzazioni. Eppure senza gli insetti il futuro del mondo, e, perciò, della nostra specie, è davvero in pericolo. Essi rappresentano la maggior parte della biodiversità poiché sono alla base di tutte le reti alimentari, impollinano le colture, mantengono il suolo in salute, riciclano i nutrienti, controllano i parassiti; questi organismi, insomma, giocano un ruolo insostituibile per l’equilibrio dell’ecosistema terrestre (e della nostra economia, anche se non ce ne rendiamo conto): tuttavia, entro il prossimo decennio il 40% di loro potrebbe sparire. Per sempre.

Prendendo le mosse da questa emergenza, qualche anno fa due giovani biologi di Treviso, Pier Paolo Poli ed Emanuele Rigato, 34 anni il primo, 31 il secondo, hanno deciso di dare una mano – anzi, un’ala – alla biosfera fondando Smart Bugs (www.smart-bugs.com/), una piccola società che dal 2013 ha il proprio core business digitale negli insetti, che studia, alleva e vende a scopi didattici e di urban ecology. Farfalle, bachi da seta, coccinelle, mosche soldato (la candidata ideale nei progetti di bioconversione dei rifiuti organici): questi insetti seguono le prime due fasi del loro ciclo vitale nei laboratori dell’azienda, in provincia di Treviso, dove, tra tante apparecchiature, spicca anche un piccolo mulino con cui vengono macinate le foglie essiccate delle piante che Smart Bugs coltiva per farne gli ingredienti principali dei mangimi per le farfalle. Una volta che le uova, collocate in una capsula petri, si sono schiuse, Pier Paolo ed Emanuele, insieme ai due tecnici addetti alla produzione, forniscono alle larve un cibo progettato ad hoc e costituito da una trentina di sostanze naturali che apportano agli organismi le medesime proprietà delle piante nutrici. A quel punto, la petri contenente gli insetti viene inserita, insieme con altri piccoli manufatti utili per l’allevamento come vaschette, contenitori, bastoncini e una confezione di mangime, in una scatola di cartone e spedita al cliente. «Fino ad ora abbiamo sviluppato tre kit: quello che abbiamo chiamato Macakit, che permette di allevare le farfalle Macaone, una delle specie nostrane più belle; il Butterfly kit, per le farfalle della specie Pieris brassicae, conosciute come Cavolaia maggiore; il Bombyx, per allevare i bachi da seta», spiega Pier Paolo Poli, precisando che ci sono voluti anni di ricerche per trovare le specie più resistenti e sostenibili. «Abbiamo optato, naturalmente, per le specie autoctone, abituate ai nostri climi, così da non interferire con i loro cicli biologici: niente farfalle tropicali, quindi, che sono sì enormi e coloratissime, ma che una volta libere sopravvivono solo poche ore senza riuscire a riprodursi e mettendo, per giunta, a rischio l’equilibrio naturale della zona».

Partendo da una matrice “catturata” in natura nel 2013, Smart Bugs è oggi una realtà unica in Italia, che collabora attivamente con altre aziende e con università. «Studiamo diete sostitutive per i bachi da seta e per altri lepidotteri, sviluppiamo tecniche di allevamento innovative della specie Hermetia Illucens (le mosche soldato, efficaci per risolvere i problemi legati allo smaltimento dei rifiuti organici) e di altri insetti utili», continua Pier Paolo. «Per noi questi organismi non sono nemici da combattere ma risorse preziose da utilizzare in modo intelligente in tanti ambiti: zootecnico, ecologico e, persino, alimentare», dicono. Scommettiamo che a salvarci saranno le farfalle?

Monica Zornetta (Avvenire, 11 marzo 2021)