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In natura ci sono organismi appartenenti a specie diverse che hanno imparato ad unire le forze per mettere al sicuro la pelle, per potersi evolvere o, comunque, per ottenere vantaggi più o meno reciproci e più o meno costanti. Le oche selvatiche e i caprioli, per esempio, con il tempo sono diventati alleati straordinari: sanno che in certi periodi dell’anno devono mettere in comune le rispettive abilità per difendersi dai nemici, i lupi e i cacciatori.

In questa unione, le oche assicurano una vista eccezionale mentre i cervidi un eccellente udito e un olfatto imbattibile.

In Europa, tra l’autunno e l’inverno, i caprioli “banchettano” nei campi coltivati, e le oche, di ritorno dalla Tundra artica, atterrano proprio accanto a loro. Il vento che soffia sulle campagne porta con sé molti odori, compreso quello dei cacciatori e dei loro cani: è questo il momento in cui la preziosa mutualità si manifesta apertamente.

Quando i caprioli saltano, significa che hanno annusato e udito qualcosa in lontananza: è un segnale di pericolo che le oche conoscono bene e che le mette all’erta; quando non si fermano e continuano a saltare, i pennuti capiscono che è meglio allontanarsi e veloci, a quel punto, si alzano in stormo.

Anche i caprioli sanno quali sono i segnali di pericolo lanciati dalle oche e, senza perdere tempo, si mettono al sicuro.

E’ una forma di cooperazione che la natura non conosceva fino a pochi secoli fa e che è stata indotta dalle azioni dell’uomo: pensiamo alle distese di campi coltivati, così ampie e numerose da aver sostituito quasi ovunque gli originari boschi, o all’introduzione dei fucili a lungo raggio che hanno portato oche e caprioli a tenersi a distanza ancora maggiore dall’uomo rispetto a quanto non facessero prima, quando la caccia si praticava con arco, frecce e giavellotto.

Nell’Africa Subsahariana, un uccello di taglia media-piccola, l’Indicatore golanera, si è da secoli coalizzato con l’uomo e con il tasso del miele per procacciarsi ciò che per lui è un vero e proprio superfood: la cera dei favi delle api. L’uccello ha imparato ad aiutare l’essere umano a scovare e a raccogliere il miele: volando, emettendo suoni stridenti e agitando la coda, lo conduce fino ai nidi delle alpi selvatiche e si mette in attesa.

Dopo che l’uomo ha acceso il fuoco per affumicare la zona e allontanare il più possibile gli insetti, e al termine delle sue operazioni di recupero del miele, tocca a lui pensare al “bottino”. Ma è con il tasso del miele che l’Indicatore va sul sicuro: impassibile alle punture delle vespe o delle api, questo resistente e irascibile animale ha l’abitudine di fare incetta di miele, svuotando il favo e lasciando al volatile l’energetica cera con le larve.

Questi esempi hanno in comune un tipo di relazione molto stretto conosciuto, in biologia, con il nome di simbiosi. Due parti mettono insieme le proprie abilità restando fianco a fianco, cooperando; nonostante le modalità non siano semplici o il successo per entrambi sempre assicurato, lo fanno perché i rapporti simbiotici sono i più convenienti.

Un essere vivente accetta di legare la propria esistenza a quella di un altro poiché in tal modo riesce ad affrontare i tanti pericoli della vita, considerato che nella maggior parte dei casi la lotta (intesa come conflitto, combattimento) è assai meno utile dello stare insieme.

Potremmo dire che come Robinson Crusoe ha potuto vivere da solo in un’isola deserta perché con lui c’era Venerdì, così nessuna umana società può esistere isolata dal mondo senza andare in rovina, anche quando sono governate da dittatori convinti di riuscirci.

A raccontare i tanti tipi di relazioni, o per meglio dire, di simbiosi, che esistono in natura è l’interessante saggio dello scienziato tedesco Josef Helmut Reichholf, “Ogni amico è un tesoro. L’avventura quotidiana della convivenza tra le specie in natura”, di recente edito da Aboca.

Attraverso l’analisi di una trentina di case studies, l’autore ci dimostra che nessun organismo è indipendente dall’altro e che, soprattutto nel mondo vegetale, «alla base di qualsiasi forma di vita superiore, c’è una simbiosi».

Uno degli esempi più noti è rappresentato dal lichene, un organismo formato dalla simbiosi di un fungo con un’alga: «E’ una simbiosi talmente stretta», scrive, «da far sembrare il lichene un essere vegetale indipendente».

Ma ci sono anche i granelli di clorofilla delle piante e, al di fuori del regno vegetale, le bufaghe con i grandi mammiferi, l’uomo con il cane, l’uromastice egiziano con lo scorpione imperatore, i frutti con gli animali. Quest’ultima è tra le simbiosi più complesse e importanti perché «se non esistesse, non avremmo né mele né banane, ovvero frutti non presenti in natura se non ci fosse stato un interesse nei loro confronti. I frutti sono a tutti gli effetti un dono per gli animali e il loro proliferare è dovuto a un rapporto mutualistico».

Sull’importanza del mutuo aiuto in natura, d’altronde, già due secoli fa si era espresso il naturalista russo Pyotr Kropotkin. In polemica specialmente con il Darwinismo, egli aveva sostenuto che l’evoluzione non è basata sull’esclusiva capacità di adattamento di ogni organismo vivente, o peggio, sulla feroce competizione tra di loro, ma anche sul mutuo appoggio, sulla cooperazione. Nemmeno negli ambienti più estremi, nella natura più inclemente, tra gli animali ma anche tra gli esseri umani, egli aveva «trovato l’aspra lotta per l’esistenza che la maggior parte dei Darwinisti considerava il fattore principale dell’evoluzione»: ciò che aveva notato era, invece, la tendenza all’aiuto reciproco, alla cooperazione, dalla quale ciascuno traeva benefici e senza la quale l’evoluzione sarebbe stata impossibile.

E nella società umana? Qui, purtroppo, il discorso cambia. «Nei rapporti interpersonali prevale la sfiducia», spiega lo zoologo, biologo ed ecologista bavarese, ritenuto una figura controversa in Europa per via delle sue posizioni critiche sul global warming. «Le differenze tra popolazioni e Stati, lo sviluppo di lingue e culture diverse che giudicano inferiori o rifiutano altri stili di vita hanno fatto sì che l’uomo diventasse il pericolo numero uno per la propria specie. Al contrario, ci sarebbe bisogno di molta collaborazione e che l’umanità si trasformasse in un complesso sistema simbiotico finalizzato a una sopravvivenza sul medio e lungo periodo».

Anche il rapporto tra la campagna e la città è assai problematico: mentre «alle industrie non è più stato concesso di produrre secondo i propri criteri finalizzati ai migliori profitti possibili e le aziende hanno dovuto prendere atto di essere parte di un tutto in cui a unire i partner è un rapporto simbiotico», ad essere escluso da questo tipo di relazione è rimasta l’agricoltura.

Ad essa, all’enorme impatto che le sue cattive pratiche hanno a livello globale, Reichholf dedica il capitolo che chiude il saggio. «La produzione agricola che gli Stati sovvenzionano pesantemente non funziona come dovrebbe. Inquina suolo, acqua e aria, distrugge la biodiversità locale e globale e genera una concorrenza spietata nei confronti del terzo mondo. In questo modo non combatte la fame nel mondo, bensì la alimenta […] È questo che deve cambiare e la simbiosi rappresenterebbe una valida soluzione. Città e campagna, agricoltura e società globale devono andare a vantaggio di tutte le parti mettendo sullo stesso piano interessi e necessità […] La convivenza tra specie diverse non è facile e nemmeno automatica […]  Ci sono voluti milioni di anni per creare società funzionanti, ma quella globalizzata e basata sulla suddivisione del lavoro non può e non deve aspettare così a lungo: occorre trovare soluzioni giuste ed equilibrate nel più breve tempo possibile e nell’interesse di tutti».

Monica Zornetta (L’economia civile – Avvenire, 29 giugno 2022)

https://www.avvenire.it/economiacivile/pagine/simbiosi-e-cooperazione-il-buon-esempio-lo-d-la-natura