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«Anche se ci consente di continuare ad operare, poiché non vieta la ricerca, temiamo che quella del governo sia una scelta miope. Le nostre obiezioni all’approvazione del disegno di legge le abbiamo già espresse a giugno nel documento di dieci punti che abbiamo inviato al Senato». A commentare l’arrivo, da lunedì in Aula alla Camera, del disegno di legge che vieta la produzione e la commercializzazione in Italia della carne coltivata in laboratorio, è Stefano Lattanzi, ceo della trentina Bruno Cell, la prima e unica startup italiana a fare ricerca proprio su questo nuovo alimento.

Ispirato al filosofo Giordano Bruno, tra i primi pensatori della storia ad assumere posizioni pro-vegetariane, Bruno Cell ha concentrato la propria ricerca scientifica e tecnologica nel settore degli alimenti “a base cellulare” – prodotti, cioè, in laboratorio a partire da colture cellulari selezionate – e in particolare sulla carne coltivata, composta da cellule animali fatte moltiplicare all’interno di appositi bioreattori e successivamente «raccolte sotto forma di hamburger e altri prodotti simili» per essere messe in commercio.

Tuttavia, non è la produzione di alimenti su larga scala l’obiettivo che persegue la startup nata nel 2019 collaborando con il Centro di Biologia Integrata dell’Università di Trento (Cibio), Hub innovazione trentino (Hit) e un investitore privato del settore agroalimentare: sono, invece, lo sviluppo della carne colturale, o in vitro, attraverso la scelta della migliore linea cellulare e la condivisione delle proprietà intellettuali con altre aziende del settore al fine di rendere questo nuovo alimento, con il tempo, una risorsa economicamente sostenibile.

«Mi interesso di questo new food dal 2009 perché ero, e ancora sono, affascinato dall’idea che si possa mangiare carne senza uccidere animali – spiega Lattanzi: –. A differenza di quella tradizionale, le sue potenzialità sono numerose. Abbatte l’emissione di gas serra e riduce il consumo di suolo e di acqua, libera gli animali da trattamenti crudeli, garantisce che ciò che si mangia sia privo di patogeni pericolosi per l’essere umano e, infine, non fa uso di antibiotici». Anche gli esperti dell’Ong Good Food Institute Europe hanno di recente ribadito che la carne coltivata «rappresenta un’occasione cruciale per l’Europa per aumentare la sicurezza alimentare e affrontare il cambiamento climatico, creando al tempo stesso posti di lavoro».

Se nel nostro Paese è guardata con scetticismo, altrove è al centro di un ampio interesse: negli Stati Uniti, dopo che la Food and Drug Administration (Fda), cioè l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, ha dato il via libera alla sua produzione, il settore è considerato tra i più promettenti dai grandi gruppi di investitori.

«Le mosse dell’attuale governo, basate, va detto, sul pregiudizio verso un alimento che le persone in realtà non conoscono poiché non ancora presente sul mercato, non fanno fare una bella figura all’Italia sul fronte dell’innovazione: tutto ciò rischia di ripercuotersi anche sulla raccolta di investitori e incoraggia ancora una volta la fuga all’estero dei nostri ricercatori» attacca Lattanzi.

Il Ddl ha nel frattempo regalato nuova involontaria pubblicità alla stessa Bruno Cell, che nel 2021 ha inoltre partecipato ad un bando dell’Agenzia Spaziale Europea per studiare la possibilità di utilizzare la carne colturale nello spazio. «Diverse aziende svizzere del biotech ci hanno invitato ad andare a lavorare lì nell’eventualità in cui diventasse difficile farlo in Italia – conclude Lattanzi –. Ma ripeto: per il momento la ricerca sulla carne coltivata non sembra essere in pericolo nel nostro Paese. In caso lo fosse, non ci resterà che proseguirla altrove».

Monica Zornetta (Avvenire, 4 novembre 2023)

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