
Darwin, le falene e le betulle: il valore di un’anomalia
13/04/2025
Il carro oscillava mentre Samuel Fielden si rivolgeva agli operai in piazza. Il socialismo difenderà sempre i diritti dei lavoratori, diceva, è necessario sopprimere le leggi perché «sono solo un paravento dietro al quale si nascondono gli sfruttatori»; organizzatevi, incitava con voce sostenuta per essere sentito da tutti, e non boicottate la bandiera rossa perché è un simbolo di libertà.
Delle circa tremila persone che quella sera del 4 maggio 1886 erano accorse nella piazza del mercato di Haymarket, a Chicago, per assistere al comizio che i sindacati avevano organizzato in fretta e furia dopo le violenze della polizia contro gli operai delle officine McCormick in sciopero, ne era rimasto qualche centinaio. Il vento freddo che si era alzato dal lago Michigan proprio mentre Fielden stava prendendo la parola, poco dopo le dieci, aveva sollevato parecchia polvere dal selciato e fatto rotolare nel cielo grandi nuvole scure, spingendo la gran parte della gente a lasciare la piazza.
Sam Fielden era un socialista rivoluzionario, un pastore metodista, un carrettiere di origini inglesi che vent’anni prima era sbarcato negli Stati Uniti in cerca di fortuna e libertà. Con sé, in quel viaggio verso il paese degli uomini liberi, aveva portato gli insegnamenti ricevuti dal padre, un cartista e antischiavista che nel Lancashire della rivoluzione industriale si opponeva al lavoro minorile e a ogni forma di sfruttamento.
Gli organizzatori avevano voluto che fosse lui a concludere l’assemblea, cominciata con gli interventi di August Spies e Albert Parsons, quest’ultimo avvisato solo qualche ora prima e salito sul carro poco dopo le nove.
Immigrato dalla Germania, membro del Partito Socialista dei Lavoratori, tappezziere e direttore della rivista anarchica Arbeiter Zeitung, il Giornale dei Lavoratori, Spies era un attivista che aspirava ad una società senza classi, da costruire anche, e se necessario, con l’uso della violenza. Quella sera di primavera, davanti allo stuolo di poliziotti armati che circondavano la piazza, aveva messo a tacere tutte le voci che vedevano in quel raduno un evento preparatorio ad una sommossa. Ma aveva anche dichiarato che, alla luce dei morti e dei feriti per mano della polizia durante lo sciopero alla fabbrica McCormick, il giorno prima, i lavoratori avrebbero dovuto «armarsi per la loro difesa». Tanto i discorsi di Spies erano impetuosi, quanto quelli di Albert Parsons erano misurati, ma non meno coraggiosi. Sono venuto per dire la verità, anche se questo dovesse costarmi la vita: così era cominciato il suo lungo intervento.
Discendente di una delle famiglie inglesi arrivati nel Nuovo Mondo a bordo della seconda Mayflower e di eroi della Guerra di Indipendenza, Albert Parsons aveva vestito la giubba dei Confederati durante la Guerra Civile prima di ripensare le proprie posizioni sulla schiavitù e fondare un giornale antischiavista, The Spectator, che gli scatenò contro l’odio degli ex compagni dell’esercito confederato e del Ku Klux Klan. Trasferitosi a Chicago con la moglie Lucy, una sarta meticcia che condivideva tutte le sue battaglie, aveva aderito al Partito Socialista d’America e pagato con il licenziamento dal giornale dove scriveva, il Chicago Times, l’appoggio dato allo sciopero dei ferrovieri del Baltimore & Ohio Railroad. Avvicinatosi all’anarco-sindacalismo e finito in una lista nera, aveva strutturato il Sindacato Centrale dei Lavoratori e, nel ruolo di caporedattore dell’Alarm, organo del Partito Internazionale dei Lavoratori, aveva attaccato la proprietà privata del capitale produttivo, il lavoro salariato, il monopolio bancario, le ineguaglianze sociali.
Quella sera, a Haymarket, il suo discorso si era chiuso invocando il socialismo, «il solo in grado di combattere la povertà artificiosa generata dal capitalismo». Poi, scendendo dal carro, aveva passato il testimone a Fielden e il cielo aveva cominciato a scurirsi.
Erano circa le dieci e mezza quando il capitano della polizia di Chicago, William Ward, aveva raggiunto con alcuni poliziotti armati il figlio del cartista per ordinargli la dispersione pacifica dei manifestanti. Le loro urla contro la polizia si erano fatte più alte, la confusione stava montando nella piazza finché, all’improvviso, qualcosa di potente aveva travolto tutto. Una bomba era esplosa.
Insieme alla conta dei morti e dei feriti, tra i poliziotti (colpiti dal fuoco amico) e i civili, erano scattate le manette per i tre innocenti relatori e per altri cinque, altrettanto innocenti, leader anarchici e socialisti: Adolph Fisher, George Engel, Louis Lingg, Michael Schwab, Oscar Neebe. Erano piccoli commercianti, tipografi, falegnami, quasi tutti immigrati dalla Germania; nessuno era a Haymarket al momento dello scoppio, tre di loro non erano nemmeno andati alla manifestazione.
A raccontare in modo magistrale i fatti che da Chicago hanno portato alla nascita della festa internazionale del Primo Maggio, la Festa dei Lavoratori, è un coinvolgente libro appena uscito per i tipi di Eleuthera: Verrà il giorno, scritto dal francese Martin Cennevitz, insegnante e appassionato di storia politica e sociale.
Nelle sue duecento pagine, che scorrono fluide e profonde, le vite degli otto protagonisti e delle loro compagne si intrecciano con le vicende del movimento operaio americano e con la storia degli Stati Uniti: una storia germinata dallo sfruttamento e dalla rapina delle terre ancestrali a opera dei coloni bianchi e nutrita dal sudore e dal sangue dei milioni di lavoratori immigrati sfruttati dalle potenti élite industriali. Ma, anche, dal coraggio di quanti, in nome dell’uguaglianza, hanno sfidato odi e razzismi.
La ricostruzione storica degli eventi e l’utilizzo di appunti scritti dai condannati a morte in attesa dell’esecuzione, avvenuta l’11 novembre 1887 nel penitenziario di Cook, in una Chicago in stato d’assedio, sono tenuti insieme da una narrazione corale appassionata e puntuale. Il libro prende il titolo, infatti, dalle ultime parole pronunciate da August Spies sul patibolo: «Verrà il giorno in cui il nostro silenzio sarà più potente delle voci che voi oggi soffocate».
Sono proprio le pagine che raccontano il processo condotto senza prove, quella tragica e meschina farsa messa in scena poco dopo gli arresti e terminata con i «nodi scorsoi per i rossi» auspicati dal Chicago Times ad emozionare di più. In loro c’è tutta la dignità, la forza della verità, il disprezzo per le ingiustizie che hanno illuminato Spies, Parsons, Fisher ed Engel prima dell’impiccagione, ma anche Lingg nei giorni precedenti al suicidio. In quelle pagine, inoltre, c’è tutta la sofferenza degli altri, condannati al carcere a vita e poi graziati.
Scrive Cennevitz: «Quando le cinque bare, coperte di fiori, arrivano al cimitero, il sole sta già calando nel cielo chiaro dell’Illinois. Il capitano Black (il loro avvocato, nda) prende la parola: “Noi non siamo qui accanto ai corpi di cinque criminali. Non c’è niente di disonorevole nella loro morte. Sono morti per la libertà e per l’umanità”».
Monica Zornetta (Domani, 30 aprile 2025)
Il pdf: Verrà il giorno pag.DOMANI pdf