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Per la cattiva qualità dell’aria nelle sue aree urbane, negli anni l’Italia è stata sottoposta a diverse procedure di infrazione da parte della Commissione Europea, alcune delle quali sono ancora pendenti. Ma se per diminuire in maniera importante la quantità di inquinanti nell’atmosfera il nostro Paese continua a fare poco, sul fronte del cosiddetto indoor pollution, l’inquinamento degli ambienti chiusi – che riguarda, tra gli altri, le scuole, gli ospedali, gli uffici e, naturalmente, le case -, sembrerebbe essere un po’ più attivo. Quello indoor è, infatti, ancor più subdolo dell’inquinamento nell’atmosfera perché “nasce” nei materiali con cui gli edifici sono costruiti, negli impianti di riscaldamento e di condizionamento, nelle pitture, nei solventi e nelle vernici utilizzate, nei prodotti per la pulizia e la disinfezione quotidiana; inoltre, è maggiormente “pesante”, se si considera che il livello di inquinanti all’interno dei fabbricati è spesso molto più alto di quello registrato all’esterno, in genere dalle 2 alle 5 volte, ma può arrivare ad essere 100 volte tanto, come ha rilevato uno studio dell’Environmental Protection Agency nel 2006.

Quando un’architettura è contaminata e “sta male” anche le persone che la occupano possono risentirne: per questo è importante che la salubrità e la sostenibilità dell’edificio partano dal progetto e che trovino poi piena realizzazione nella fase costruttiva del cantiere. «E’ nel cantiere che si decide tutto: se è di qualità, anche l’edificio lo sarà, e per lungo tempo, se non lo è, produrrà effetti negativi sulla vita delle persone che lo abitano», spiega Francesca Galati Bolognesi, ingegnere e architetto savonese specializzata in certificazione Leed AP, fondatrice e Ceo di FGB Studio – Future Green Building, società con sede principale a Londra e filiali in tutto il mondo (Italia compresa), e della londinese Zmyrna Holding.

«Se l’edificio è costruito male e si “infetta”, anche coloro che lo occupano si ammaleranno: penso all’asma, alle allergie, al mal di testa e alla difficoltà di concentrazione, ai dolori articolari, alle vertigini e addirittura al cancro. Le persone devono avere la sicurezza che i luoghi che utilizzano sono sani e di qualità; che i materiali con cui quel luogo, poniamo caso un condominio, è stato costruito, non siano contaminati e non presentino muffe, che lo stoccaggio e il riciclo siano avvenuti in maniera corretta; che la  ventilazione sia sufficiente e che i climatizzatori siano puliti e perfettamente funzionanti. Oggi l’aria è uno dei temi più importanti del dibattito mondiale e lo abbiamo capito tutti durante la pandemia», continua la professionista di costruzioni green, per la quale gli edifici del futuro dovranno essere progettati pensando anche alla possibile diffusione di nuovi virus respiratori e alla prevenzione delle infezioni conosciute. «La maggior parte delle attività del cantiere – non mi riferisco a quello temporaneo – sono poco visibili agli occhi delle persone ma hanno un altissimo impatto sulla qualità della loro esistenza, sull’ambiente e anche sull’economia. In un cantiere sostenibile la scelta dei materiali con componenti di riciclato, per esempio, deve essere accompagnata dalle certificazioni circa il loro processo di creazione e di distruzione o riciclo; l’utilizzo di adesivi, di sigillanti, pitture, isolanti, di un certo tipo di pavimentazione e di sotto-pavimentazione, del legno composito, deve considerare il loro periodo di emissione di polveri, di gas, di composti organici volatili; i modi in cui vengono collocati i filtri, in cui si agisce sul sistema di raccolta dell’acqua piovana, in cui vengono stoccati i materiali, deve essere sempre in relazione con l’ecosistema. La sostenibilità di cui tutti parliamo ogni giorno, e che per me significa l’equilibrio tra il pianeta, le persone e il profitto, deve essere, insomma, un modello che applichiamo fin dalla fase costruttiva poiché ciò che si fa in un cantiere preclude, o viceversa, garantisce la vivibilità degli spazi per i decenni futuri».

Per questa ragione Galati Bolognesi ha di recente deciso di dotare i propri clienti di un sistema per monitorare l’aria di casa o dell’ufficio, in autonomia e in tempo reale, e scoprire così se il tipo di prodotto utilizzato per la pulizia sprigiona vapori chimici tossici (e in quale quantità) o se il sistema di aria condizionata emette sostanze nocive nell’ambiente esterno ed è in grado, all’interno, di ripulire le concentrazioni di anidride carbonica, di composti organici volatili eccetera. Dopo aver lavorato a lungo negli Stati Uniti e in molti Paesi europei, oggi la professionista ligure collabora a livello internazionale con multinazionali della moda, del lusso, dello sport, seguendone con attenzione i progetti per realizzare edifici e negozi il più possibile salubri, energeticamente efficienti e ad impatto ambientale contenuto. «In questi anni ho avuto modo di toccare con mano le diverse sensibilità che le companies hanno sulla questione della sostenibilità. Mi spiego meglio: ho trovato cantieri che mi piace chiamare “positivi” dove vigeva il rispetto delle certificazioni e in cui si valorizzava il lavoro delle persone, e ne ho trovati altri di “negativi”, perché incapaci di rispettare il lavoro altrui e interessati solo ad ottenere il “bollino” senza tuttavia impegnarsi per rientrare nei parametri di riferimento che questi forniscono. Per loro, la sostenibilità è un mezzo come un altro per ottenere cose non sostenibili. Con ciò che faccio, punto a rendere consapevoli le persone e le istituzioni sul fatto che le modalità con cui si progettano e si costruiscono gli edifici hanno ripercussioni importanti sulla qualità della vita, e le aiuto ad imparare a riconoscere ciò che è veramente sostenibile da ciò che non lo è. Purtroppo», conclude Galati Bolognesi, «è proprio la mancanza di conoscenza a creare le difficoltà maggiori e a far loro pagare il prezzo più alto».

Monica Zornetta (Avvenire, 23 ottobre 2021)

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