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Qualche anno fa alcuni importanti siti americani di cinema fecero un sondaggio tra i loro iscritti per capire quale fosse il miglior Joker cinematografico di sempre. Le risposte che arrivarono a Rotten Tomatoes, Vulture, Indiewire, Screen Rant e, più recentemente, anche a Imdb, indicarono il Jester del film The Dark Knight come il più originale e indimenticabile di tutti.
La maggior parte lo scelse per la sua profonda caratterizzazione psicologica ma anche perché, pur essendo un clown o un giullare (psicopatico e assassino), la sua “maschera” ricorda un demone. Angosciante e angosciato, terrificante anziché buffone, nichilista e manipolatore.
Il Joker interpretato nel 2008 dal compianto Heath Ledger è, infatti, un istrionico fomentatore di caos dai capelli tinti di verde, gli occhi bui e il volto, sporco di gesso, sfigurato da una cicatrice color sangue che dagli angoli della bocca termina fin quasi alle orecchie.
È un “sorriso” eternizzato, procurato – da lui stesso o dal padre, non è dato saperlo – con un colpo netto di rasoio. «Ora sorrido sempre», dice in una scena del film di Christopher Nolan, esasperando quella risata macabra e slabbrata realizzata con una protesi al silicone e un bel po’ di sapiente make-up.
Chiaro, il cinema di Hollywood non ha inventato niente (anche se, a modo suo, ha ispirato tutto) perché il brutale taglio della bocca con un rasoio è nato molto lontano da lì.
È nella Glasgow industriale e settaria di cento anni fa che appare; lungo le popolose strade e i sudici vicoli dei quartieri dell’East End e del South Side, abitati dalle comunità di immigrati italiani, irlandesi, russi, polacchi, lituani e controllati con le lame da feroci gang criminali.
Sono state loro a inventare il Glasgow Smile, la scarificazione che ricorda vagamente un sorriso, per deturpare il volto dei gangsters rivali. Lo praticavano i membri protestanti del Bridgeton Billy Boys, un gruppo violentissimo e numeroso messo insieme dal fuorilegge William “Billy” Fullerton (nella foto in basso) qualche anno prima di avvicinarsi ai fascisti del British National Party; e lo utilizzavano i loro antagonisti: i Norman Conks (dove Conks stava per Conquistatori), i Kent Star e molti altri, tutti cattolici e con radici ben salde nella working class.
Un po’ come farà Joker molti anni dopo nell’oscura Gotham City (ovviamente senza effetti speciali e trucchi digitali), avevano trasformato i sobborghi in un regno del terrore e di “anarchia”, in cui violenze, minacce, estorsioni, omicidi, agguati e ferimenti anche a colpi di spranghe e catene erano all’ordine del giorno.
Dal 1920 al 1930, quando negli Stati Uniti imperversava la Chicago Outfit di Al Capone e Johnny Torrio, a Glasgow gang protestanti e cattoliche si sfidavano, infatti, agli angoli delle strade e nelle piazze, diffondendo la paura tra i cittadini per bene. Si ispiravano ai gangsters americani, in particolare a quei film hollywoodiani che avevano reso “stilosa” la loro figura e affascinanti le loro imprese.
Il “sorriso” di Glasgow non era, però, solo una firma criminale: era una minaccia per l’identità stessa della città, fino ad allora nota in tutta la Gran Bretagna (e non solo) per la potenza industriale, il radicalismo politico, il suo movimento operaio. E il soprannome che gli era stato affibbiato, scar-city, la città-cicatrice, lo certificava.

Billy Fullerton, capo dei Bridgeton Billy Boys (Image: Daily Record)
«La cultura delle gang era così diffusa che gli uomini fabbricavano i coltelli, i pugnali […] nei cantieri navali, che poi nascondevano in tasche segrete», scrivono le giornaliste Heather Greenaway e Christina O’ Neill nelle pagine digitali del quotidiano GlasgowLive.
Erano, quelli, gli anni duri e turbolenti seguiti alla Prima guerra mondiale. A Glasgow, la crisi economica e industriale, la massiccia ondata migratoria, prevalentemente cattolica, la mancanza di alloggi adeguati e la scarsa salubrità di quelli disponibili (generalmente sovraffollati), avevano ingigantito paure e malcontento, aggravando i conflitti sociali e moltiplicando gli scontri. La disoccupazione era il motore di tutto: nell’East End c’erano migliaia di giovani rimasti senza lavoro e denaro che gironzolavano per le strade senza far niente, se non ubriacarsi, rubare e fare a botte.
A far parte delle gang non erano, tuttavia, solo giovani disoccupati o criminali patentati: nel libro City of Gangs: Glasgow and the Rise of British Gangsters (Hodder&Stoughton, 2013), il professore di Storia Moderna dell’Università di Liverpool, Andrew Davies, precisa che molti dei suoi membri erano persone «straordinariamente ordinarie»; erano figli, padri, fratelli, zii, nipoti come tanti altri, senza una “formazione” legata alla malavita.
L’antico problema del settarismo religioso aveva gettato, infine, ulteriore benzina sul fuoco. Per i lavoratori qualificati di fede protestante che avevano perso l’impiego erano gli immigrati cattolici, soprattutto irlandesi, i responsabili delle loro disgrazie; le logge massoniche e la chiesa, dal canto loro, non avevano fatto nulla per impedire la diffusione di un forte sentimento anticattolico tra la gente, nelle istituzioni e nelle scuole. La rivalità tra gli uni e gli altri si consumava dappertutto, persino sui campi da calcio, tra i Celtic e i Rangers.
Quella delle gang non era ovviamente una prerogativa della città sul fiume Clyde: ogni grande centro urbano britannico, da Londra a Liverpool, da Birmingham (con i Peaky Blinders della serie tv) a Manchester (con gli Scuttlers) da Leeds a Sheffield, era costretto a fare i conti con le proprie.
Chi riuscì finalmente a debellare i Billy Boys e gli altri fu il nuovo capo della polizia di Glasgow, Percy Jospeh Sillitoe, arrivato con un bagaglio di esperienze maturate nelle colonie britanniche africane – era agente della British South Africa Police – e un promettente soprannome che si era guadagnato al comando delle forze investigative di Sheffield: “cacciatore di bande”.
Il futuro direttore generale dell’Intelligence lanciò una sorta di Operazione Tolleranza Zero che portò in carcere, uno dopo l’altro, moltissimi gangsters; contemporaneamente, innovò i metodi e gli strumenti di indagine in uso alla polizia dell’epoca.
A quel punto, il Sorriso di Glasgow sparì dalla città, ma non per sempre. L’attore Tommy Flanagan, scozzese – guarda caso – di Glasgow, da anni ne “esibisce” uno sul viso, a indelebile ricordo di un’aggressione subita da ragazzo all’esterno di un club dell’East End dove, anni prima di approdare al cinema, lavorava come dj.
Monica Zornetta (Domani, 31 maggio 2025)
Il pdf: pagina pdf Domani 31 Maggio 2025-15
La foto di copertina è un montaggio di Patrizio M Martinelli