Il caso. Epidemia di obesità, come si ferma?

Storie. Genio della ricerca sui tumori, emigra a Oxford. In Italia non c’è spazio?
15/07/2024
Storie. Genio della ricerca sui tumori, emigra a Oxford. In Italia non c’è spazio?
15/07/2024
Per la sua diffusione, su scala globale, e per le gravi conseguenze che ha sulla salute pubblica e dell’individuo, c’è chi la chiama l’epidemia del secolo. L’obesità è una patologia che per l’OMS rappresenta la quinta causa di morte nel mondo e una delle principali emergenze sanitarie a livello planetario.
Trattandosi di una condizione complessa, provocata non semplicemente da una iperalimentazione o dalla mancanza di attività fisica ma da un insieme di fattori – ambientali, congeniti, socioeconomici, comportamentali, psicologici -, l’obesità è un fenomeno “epidemico” che gli studiosi paragonano, anche per la sua velocità di “diffusione”, a una malattia infettiva incontrollata.
E’ certamente un’emergenza sanitaria globale dalle forti ricadute anche economiche ma è anche «una profonda tragedia e il monumentale fallimento della società», come l’ha acutamente definita la ricercatrice Emmanuella Gadikou, coautrice di un importante studio internazionale pubblicato il mese scorso sul Lancet che prevede come da qui al 2050 il mondo potrebbe assistere a un aumento del 121% dei giovani obesi mentre, per quando riguarda gli adulti, la proporzione potrebbe arrivare a toccare i sei (in sovrappeso e obesi) su dieci.
Anche l’Italia, ovviamente, sta facendo i conti con questa “epidemia”, come ci mostrano i numeri contenuti nell’Italian Barometer Obesity Report realizzato nel 2022 dalla DBO Foundation insieme all’Istat. Ad essere obeso (di 1a, 2a e anche di terza classe, cioè “obeso grave”, dove l’indice di massa corporea è superiore a 40) è infatti il 12% dei nostri connazionali, pari a quasi 6 milioni di persone; il 46 % (oltre 23 milioni) vive invece una condizione di “semplice” sovrappeso.
Particolarmente significativo è l’aumento dell’obesità tra i giovani, come è emerso invece dall’ultima analisi della Fondazione Foresta Onlus di Padova: la quota di adolescenti italiani che risulta convivere con un significativo eccesso ponderale supera il 22% (tra i maschi di 17 anni questo valore sfiora il 24%, con un 3,9% classificato come obeso). Dal punto di vista della distribuzione geografica, la “maglia nera” spetta alle regioni del Mezzogiorno, dove, in base ai dati Epicentro Iss, il rapporto è di 1 a 4.
Tuttavia, a preoccupare soprattutto gli esperti è la fascia di età infantile, in particolare quella compresa tra i 7 e i 9 anni. Secondo i medici dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma la percentuale di bambini e bambine italiane che convivono con sovrappeso e obesità ha oggi raggiunto il 37%: un dato impressionante, che colloca il nostro Paese al secondo posto in Europa, dopo Cipro, nella classifica dei tassi di obesità infantile.
Prende perciò le mosse anche da qui, dagli esiti di questi studi, la proposta di legge sull’obesità (prevenzione e cura) che la Camera dei deputati ha approvato il mese scorso e che ora è all’esame del Senato. Se il provvedimento presentato dal deputato Roberto Pella passerà – come ci si auspica -, l’Italia diventerà il primo Paese al mondo a dotarsi di una legge specifica.
Riconoscendo l’obesità come malattia cronica multifattoriale, causata cioè da una combinazione di diversi fattori, oltre che progressiva e recidivante, la proposta di legge punta a intervenire su più fronti: clinico, educativo, informativo e istituzionale. Tra i punti più rilevanti ci sono l’inserimento nei Livelli Essenziali di Assistenza erogati dal Servizio Sanitario Nazionale e l’avvio di uno specifico programma nazionale che prevede una spesa di 700 mila euro per il 2025, 800 mila per il 2026 e di 1,2 milioni annui a decorrere dal 2027.
Poiché la prevenzione dell’obesità infantile è uno degli elementi cardine su cui poggia una società in salute, il provvedimento prevede interventi di promozione dell’attività fisica e di educazione nutrizionale; il potenziamento dell’accesso ai centri per i disturbi alimentari; l’istituzione di un fondo di 400 mila euro l’anno per la formazione del personale sanitario e la creazione di un Osservatorio per lo Studio dell’Obesità presso il ministero della Salute che si avvarrà di una copertura di 1,2 milioni di euro per il 2025, 1,3 milioni per il 2026 e 1,7 milioni a partire dal 2027.
Se l’Italia sta per compiere un deciso passo in avanti sul fronte della prevenzione e del contrasto, altri Paesi stanno tentando di affrontare l’obesità e la promozione di stili di vita più sani introducendo politiche e regolamenti per limitare la commercializzazione del cosiddetto trash food agli under 18 e specificare sulle etichette e sui menu il relativo apporto calorico, la presenza di sale, zuccheri e grassi saturi.
«Le conseguenze dell’obesità, specialmente se parliamo di bambini e adolescenti, sono serie e vanno dal diabete di tipo 2 alle malattie cardiovascolari, dall’ipertensione ai problemi respiratori e al fegato; inoltre, incide negativamente sullo sviluppo osseo a causa della carenza di vitamina D e anche sulla fertilità, con la riduzione dei livelli di testosterone nei maschi e la regolazione ormonale nelle femmine». A spiegarlo è Carlo Foresta, esperto di Andrologia ed Endocrinologia e presidente della Fondazione Foresta Onlus che dal 2017 studia lo stile di vita dei giovani attraverso report annuali realizzati in collaborazione con gli studenti delle scuole superiori.
«L’ultima relazione ha confermato l’entità dell’incremento dell’obesità tra i giovani, soprattutto maschi: dal 10% rilevato nel 2017 all’attuale 18%. Tra le ragazze, invece, era l’8% nel 2017 ed è il 12% oggi. Adolescenti e giovanissimi sono le principali vittime di un sistema che ha demolito quelle strutture sociali che nel nostro Paese dominavano fino a 20 o 30 anni fa, influenzando fortemente anche l’alimentazione. Oggi non esiste più la formula colazione-pranzo-cena ma si mangia quel che si può e quando si può. Siamo i primi a non seguire più la dieta mediterranea, così copiata nel mondo, mentre il cibo è diventato, nella stragrande maggioranza dei casi, un mezzo attraverso cui scaricare le tensioni della quotidianità», continua il medico.
«I giovani tendono a vivere chiusi in casa, a condurre una vita sedentaria: al massimo fanno due ore di palestra ma non camminano, non stanno più all’aria aperta, non esistono più nelle loro vite momenti ludici di semplicità assoluta. È difficile dire che cosa fare per invertire definitivamente la rotta», conclude Carlo Foresta. «E’ come se si fossero spostate troppo in avanti le lancette di un orologio e noi, a quel punto, non siamo più capaci di orientarci. Bisognerebbe tirarle un po’ più indietro».
Monica Zornetta (Avvenire, 19 giugno 2025)