H-Farm. Donadon: “Così creiamo i posti del futuro. Investire nei giovani è già scommettere sull’innovazione”

H-Farm. Le quotazioni in Borsa per crescere ancora
26/11/2015

Sono soprattutto tre le parole che si rincorrono nei discorsi di Riccardo Donadon, il 47enne fondatore e ceo del più celebre incubatore (e investitore) di start up italiano, H Farm, dove la H sta per umano e Farm per la bellissima fattoria immersa nella campagna trevigiana che lo contiene.

Le tre parole sono innovazione, consapevolezza, giovani, vale a dire i concetti fondativi di questa “Silicon valley tricolore” che, strutturata come un campus dove lavorano 550 persone, gioca oggi la propria importante partita all’interno di uno scacchiere globale.

L’innovazione di cui parla Donadon è quella digitale, che interessa principalmente le aziende e i loro modelli di business e rappresenta il focus stesso della piattaforma high tech. La consapevolezza è la capacità di “interpretarsi in funzione di quelle che sono le grandi opportunità che il mondo offre”, perché, ne è convintissimo il founder, “se tu vedi il cambiamento in tutte le sue sfaccettature ecco che arrivi a comprendere che nei prossimi anni ci saranno tantissime opportunità per trovare un collocamento nell’ambito del business:  nuovi lavori nasceranno e altri termineranno o perderanno peso specifico, come è sempre avvenuto, d’altro canto, nella storia dell’uomo”.

I giovani, infine, sono gli indiscussi autori di questo processo di innovazione e allo stesso tempo i destinatari del lavoro di H Farm; sono la pietra, insomma, su cui poggia il catalizzatore di innovazione creato nel 2005 insieme con Maurizio Rossi, ex campione di offshore racing e rampollo dell’azienda di calzature di alta gamma Rossimoda. Grazie ai loro “sguardi lunghi” e ad una sana e robusta “costituzione digitale”, i giovani sanno anticipare, capire e interpretare i cambiamenti in atto in ogni ambito.

“I ragazzi rappresentano la nostra ricchezza e non possiamo permetterci di perderla:  dobbiamo anzi potenziarla”, afferma pacato Donadon, mente visionaria in abiti dem. “Per questo motivo abbiamo creato il progetto Education, che, attraverso la Digital Accademia, e affiancando l’attività di Corporate per la formazione di professionisti e  dipendenti delle aziende,  propone un percorso dedicato ai bambini e ai ragazzi.

Considerato che l’imprinting, noi, come gli animali, ce l’abbiamo nei primi anni di vita, ci siamo domandati: perché non andiamo a formare direttamente i bambini anziché fermarci ai ragazzi delle scuole superiori o agli studenti dei bachelor? Così abbiamo creato i Digital native camp e dai 18 anni siamo scesi ai 16, poi ai 14, quindi ai 12, ai 10, ai 6, fino ai 3 anni”.

E poiché i farmers amano le grandi sfide, la scorsa settimana a Treviso hanno acquistato per 800 mila euro l’International school con cui offriranno ai giovanissimi dei percorsi di studio in lingua inglese articolati in tre anni di asilo, cinque di scuola elementare e cinque di scuola media; inoltre hanno stipulato un accordo quadro con il Collegio vescovile Pio X per la formazione superiore internazionale. “Nei prossimi cinque anni, dunque, a fianco degli investimenti nelle migliori idee e nei migliori talenti e agli aiuti alle aziende per la loro digital transformation, c’è l’educazione dei giovani ingegni. Vogliamo portare i bambini e i ragazzi a studiare le cose giuste”, dice, “così da aprire i loro orizzonti e la loro creatività su un settore che di sicuro crescerà. E senza scordare i genitori: ciò che puntiamo a fare è cambiare anche il loro, di pensiero, perché se continuano a far studiare ai propri figli, chessò, legge per esempio, quando di avvocati in Italia ce ne sono già troppi, continuano a fare loro del male”.

L’universo del digitale, d’altro canto, ha un bisogno pazzesco di lavoratori. “Mentre tutti si lamentano perché non c’è lavoro, nel reparto della digital agenda, secondo la comunità europea, nei prossimi dieci anni saremo in shortage, cioè a corto di personale qualificato per circa 2 milioni di persone; solo nell’ambito dell’analisi del dato nei prossimi 4 anni mancheranno 800 mila persone dotate di adeguata preparazione”.

Anche questo, spiega Riccardo Donadon, è stato uno dei fattori che hanno spinto H Farm a fare il passaggio in Borsa (vedi box), perché “qui c’era valore ed erano in molti a capirlo, tuttavia non riuscivano a comprendere quanto ce ne fosse. Ora l’azienda è diventata un oggetto pubblico e mostra in maniera trasparente tutte le grandi opportunità che questo settore offre a chi le sa cogliere”. Uno di questi è proprio lui. Cresciuto digitalmente nel  “mondo Benetton”, nel 1995 ha creato Mall Italy Lab, il primo centro commerciale virtuale che nel 1998 ha venduto ad Infostrada; l’anno dopo, poco più che trentenne, ha dato alla luce E-Tree, la webagency dal fatturato sorprendente (dai 320 milioni di lire del 1998 agli oltre 3 miliardi del ’99 fino alla ventina di miliardi del 2000), che nel 2001 ha ceduto al gruppo Etnoteam. Dopo un paio di anni di riposo, nel 2005 è arrivato il momento di H. Farm, oggi presente con uffici a Londra e a Seattle e in procinto di prendere la via della California. “Ogni anno investiamo su 5 start up nel primo semestre e 5 nel secondo: considerato il ranking di quelle che emergono in maniera importante, oggi sono contento se riusciamo a portarne al successo due o tre”.

A proposito della finanza dice che “è necessario abbandonare i vecchi schemi dei salotti buoni per cominciare a considerare la finanza come uno strumento utilissimo con cui far succedere cose notevoli”. E a chi rimprovera all’incubatore circondato da 15 ettari di verde di essere solo una grande società immobiliare che presta servizi e che solo di tanto in tanto tira fuori una start up vincente, il suo Chief executive officer replica: “Ciò che è stato quotato in Borsa sono 89 milioni di valore al netto degli immobili che la compongono: il che vuol dire che il valore di H Farm non sta nelle case ma tutto nelle persone”.

Monica Zornetta (Avvenire, 26 novembre 2015)