Ecco il codice europeo che “aiuta” il business delle ecomafie

Il Veneto fa troppi affari con le mafie. “Colletti bianchi”, rifiuti e infrastrutture: la Dia lancia l’allarme.
23/01/2020

Esiste, in Europa, una speciale combinazione di cifre di cui le mafie non possono proprio fare a meno; è quasi una sequenza magica che dà loro accesso diretto a montagne di ricchezza. Si tratta del codice 191212, e rappresenta, per le ecomafie, il comodo lascia passare verso un inesauribile mondo di profitti illeciti, di accordi segreti, di operazioni irregolari e, naturalmente, di rifiuti. Tanti, di tutti i tipi. Questo codice, così amato dalle organizzazioni criminali, dagli amministratori collusi, da brokers, proprietari di impianti e imprenditori corrotti, identifica – in base a quanto stabilito dalla Codificazione europea dei rifiuti (Cer) contenuta nell’apposito Elenco europeo (Eer) – la monnezza urbana e speciale non pericolosa, quella destinata, per intenderci, alla discarica o all’inceneritore e che ha, sul lato pratico, maggiori chances di essere collocata, senza eccessivi ostacoli burocratici, in Italia e all’estero.

Il Cer 191212, infatti, raggruppa i rifiuti prodotti dai cittadini e gli scarti di lavorazioni artigianali o industriali e altro, risultanti dalle operazioni di selezione e trattamento meccanico-biologico della sua frazione riciclabile effettuate presso gli impianti intermedi prima del loro definitivo recupero o, in alternativa, smaltimento. Sono modalità consentite dalla legislazione europea ma che diventano occasioni ghiottissime per chi vuole fare affari in modo illecito: per esempio, immagazzinando i rifiuti presso un altro impianto per poi fingere di trattarli ulteriormente o di destinarli ad un Paese estero. Anche in questo caso, come spesso accade, se sulla carta le cose sono chiare e lineari, nella realtà si fanno più cangianti, ed è proprio nella sua applicazione che il 191212 finisce per trasformarsi in qualcos’altro. Si trasforma ma – attenzione – senza cambiare. Faccio un esempio. Nell’opaco mondo dei rifiuti, questo codice è diventato con il tempo un pratico passepartout per togliere di mezzo in maniera fraudolenta anche rifiuti diversi dagli urbani e dagli speciali: per esempio i sanitari (mascherine, dispositivi di protezione individuale, guanti, eccetera), i pericolosi (i contenitori di farmaci e altre sostanze) e persino, quelli tossici: tutte tipologie di rifiuti per il cui recupero, o smaltimento, la legge prevede procedure diverse, molto più rigorose. E decisamente costose.

In questo “scacchiere”, gli attori sono individui legati alla criminalità organizzata e altri che lavorano in nero e non possono sbarazzarsi dei rifiuti in maniera lecita, sono imprenditori disposti ad eliminare i propri scarti violando la legge pur di spendere poco, e, come sta segnalando da tempo la Dia, sono amministrazioni locali impegnate a lavorare in situazioni di costante emergenza, che arrivate ad un certo punto cercano la soluzione più rapida ed economica per disfarsi della propria spazzatura. Tutti questi, usufruendo del provvidenziale “ombrello” 191212 e della complicità di brokers, consulenti, commercianti, senza dimenticare i trasportatori e i proprietari degli impianti più consenzienti, immettono nel mare magnum degli scarti una montagna di altri tipi di rifiuti all’apparenza “similari merceologicamente ma diversi giuridicamente”, alcuni dei quali addirittura classificati come “a rischio” (es. infettivi, ospedalieri, etc), o inventano ex novo flussi qualitativi e quantitativi. Si tratta di veri e propri flussi fantasma che sulla carta appaiono perfettamente idonei al trattamento, e in cui è facilmente possibile inserire di tutto per trarre profitti indebiti.

Un caso recentissimo[1], su cui peraltro stanno indagando le magistrature del nostro Paese e della Tunisia, è quello che vede coinvolti lo Stato nordafricano e l’Italia in un presunto traffico illecito di rifiuti. Tra le persone accusate di aver favorito, lo scorso anno, l’arrivo di 12 mila tonnellate di immondizia (derivata dalla lavorazione industriale dei rifiuti, secondo la spiegazione data dalla Sviluppo Risorse Ambientali, piccola azienda di Polla, nel Salernitano, che li avrebbe prodotti e spediti ad una ditta tunisina, la Soreplast, incaricata di terminare il processo di riciclo; niente più che scarti di rifiuti misti non valorizzabili, destinati perciò allo smaltimento in discarica o all’incenerimento, secondo l’attuale dicastero dell’Ambiente tunisino), all’interno di 282 containers posti sotto sequestro al porto di Sousse, figurano l’ex ministro dell’Ambiente e il suo capo di gabinetto, i direttori dell’Agenzia nazionale per la gestione dei rifiuti e della Protezione dell’Ambiente, funzionari della Dogana e altre figure strategiche, anche della diplomazia. Come evidenziano IrpiMedia e Inkyfada[2] in un’inchiesta, in meno di due mesi nella Repubblica del Nord Africa sarebbero arrivate 12 mila tonnellate di rifiuti non conformi agli accordi internazionali: nonostante fosse classificata con il noto 191212, la tipologia della monnezza esportata, salpando dal porto di Salerno, sarebbe stata, di fatto, indifferenziata e sanitaria, classificabile pertanto come “pericolosa” dalla Convenzione di Basilea[3]. Nonostante l’azienda campana abbia ufficialmente spiegato di aver rispettato tutte le regole[4], lo scorso febbraio la Tunisia ha ottenuto dalle autorità italiane un impegno formale a riprendere i rifiuti illecitamente esportati entro e non oltre tre mesi.

Per chi studia, indaga e lavora da anni sui complessi temi della gestione dei rifiuti, quella del recupero e del riciclaggio finisce per ridursi ad specie di una favoletta. La pensa così, per esempio, Alberto Pierobon[5], uno dei massimi esperti in Italia: «Non esiste un vero e sano mercato dei rifiuti», sostiene «bensì esistono più mercati e più soggetti, che si muovono nell’ombra di occasioni offerte o create», o entrambe:  tra queste ci sono le «emergenze, i contributi, le tariffe, le collusioni, le asimmetrie informative» e altro. «Si tratta di un sistema poroso che potrebbe, se gestito irresponsabilmente anche dai soggetti pubblici, diventare un’ennesima occasione per la criminalità organizzata», osserva. Sono dunque anche le situazioni straordinarie, emergenziali, come l’attuale pandemia, le artefici delle opportunità di guadagno: «E’ successo così con il divieto di esportazione dei rifiuti recuperabili in Cina, con le crisi impiantistiche, con le ordinanze urgenti in materia di Covid-19, con la necessità da parte dei produttori di rifiuti e dei più compiacenti titolari di impianti, tramite anche intermediari e “amici”, di spendere il meno possibile evitando, allo stesso tempo, di incorrere in grane di natura penale».

In un tale baillame di regole e di comportamenti trova nutrimento la famosa grey zone dei colletti bianchi, una realtà “cementata da una ferrea logica sugli affari” – come l’ha definita Rocco Sciarrone[6] -, che vede in azione politici, imprenditori, professionisti, funzionari pubblici e mafiosi. «Temo sia un errore continuare a minimizzare», conclude Pierobon, «e a considerare queste vicende solo frutti di errori o di casi isolati».

 

 

[1] Emerso grazie all’inchiesta trasmessa da un’emittente televisiva privata tunisina. Il caso: https://thesubmarine.it/2021/03/03/traffico-illecito-rifiuti-italia-tunisia/

[2] https://inkyfada.com/en/2021/03/09/investigation-waste-corruption-italy-tunisia/

[3] Del 1989. Un’altra importante convenzione che pare non essere stata rispettata in questa vicenda è quella di Bamako, del 1991, sul “divieto di importazione in Africa e nel controllo di movimenti transfrontalieri e la gestione dei rifiuti pericolosi in Africa”.

[4] Sviluppo Risorse Ambientali ha fatto sapere di voler chiedere i danni alla Regione Campania. Altre informazioni sulla replica dell’azienda: https://salerno.occhionotizie.it/sviluppo-risore-ambientali-polla-tunisia-cos-e-successo/; https://www.lacittadisalerno.it/cronaca/rifiuti-di-polla-in-tunisia-la-palla-all-aia-1.2574668.

[5] Pierobon, dal 2018 al 2021 assessore tecnico regionale all’Energia e ai servizi di pubblica utilità in Sicilia, è stato subcommissario governativo per la raccolta differenziata nell’ambito dell’emergenza rifiuti in Campania e consulente in varie commissioni al ministero dell’Ambiente. Di recente ha pubblicato con G. Angelucci “Rifiuti ed emergenza sanitaria: gestione finanziaria e riflessi sulla tariffazione. Rifiuti nel periodo coronavirus. Flussi degli urbani indifferenziati, dei sanitari, degli speciali. Tutte le problematiche e le soluzioni” (Wolters Kluver, 2020).

[6] Rocco Sciarrone è professore ordinario di Sociologia della criminalità organizzata all’Università di Torino e direttore del Laboratorio di Analisi e Ricerca sulla Criminalità Organizzata.