“Quanto è facile tirare su un muro”. Antonia Arslan, dal genocidio armeno al cimitero del Mediterraneo

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“E’ un mondo pieno di muri, ma che non servono a niente”, dice tutto d’un fiato Antonia Arslan, l’intensa scrittrice padovana dalle radici armene che ha messo al centro del proprio lavoro la memoria del genocidio di questo antico popolo, discendente, secondo la tradizione, da Noè. Un annientamento pianificato e attuato cento anni fa per feroce mano turca – con tanto di decapitazioni rituali, come ritroviamo oggi nell’orrore delle pratiche dell’Is – e terminato nel 1918 con un milione e mezzo di vittime.

“Il muro è un archetipo della mente umana, e capisco che in certi casi possa tornare alla mente, ma nella realtà non dà le risposte di cui la gente ha bisogno”, aggiunge. Il lento calpestio dei sampietrini incastonati sulla strada che la sta portando a Palazzo Bomben, la dimora trevigiana della Fondazione Benetton dove ad attenderla, per un incontro pubblico che comincerà a minuti, troverà duecento persone, accompagna le sue parole sulle tante barriere che dividono i popoli. Oltre quarantacinque nel mondo, secondo il Washington Post; un numero non quantificabile, invece, per l’Istituto per gli studi di politica internazionale. L’ultima, in ordine temporale, è quella ventilata dal governo nazionalista ungherese di Viktor Orbán per fermare l’esodo di profughi dalla vicina Serbia. La penultima, quella eretta solo l’anno scorso dalla Bulgaria lungo la frontiera con la Turchia.

“C’è una pressione enorme in tutto il mondo per questa specie di ridistribuzione che è in atto: qualche volta è orientata bene, qualche altra volta è talmente violenta da sorprendere la gente. Ecco quindi che i governanti credono di interpretare al meglio le richieste dei propri cittadini pensando a un muro. Nella mente di tutti il muro è ciò che protegge: divide, certo, ma allo stesso tempo difende chi è dentro e respinge chi è fuori”. L’altro.

Antonia Arslan (Ph. Anto/Fotoland)

La creazione di nuovi muri non stupisce la scrittrice, che ha scoperto le proprie origini grazie al nonno Yerwant, il “patriarca a cui nessuno disubbidiva” e al lavoro di traduzione in italiano delle opere di Daniel Varuja, un poeta armeno assassinato nel 1915 al principio del “grande male”: “Succede così da sempre, non è una novità. Pensiamo alle città murate, alle fortezze. Il muro è un archetipo della mente umana, ma nella realtà non serve a molto”.

Gli esodi fanno paura. E il nostro continente, e così quasi l’intero pianeta, ne sta vivendo uno senza precedenti. Il Mediterraneo è ormai un immenso cimitero a cielo aperto, attraversato ogni giorno da migliaia di persone in fuga da quelle che l’Onu ha definito “terre caotiche”; eppure, con il suo comportamento, questa Europa sembra voler affermare che tutto ciò non la riguarda. “Il problema è che l’Ue non riesce a darsi una politica comunitaria”, spiega Arslan, “si è data una moneta prima di una politica: il che è sempre un azzardo terribile. E lo è stato, in questo caso. Vari popoli stanno cominciando a pensare di uscire dall’euro: non sono i governanti a volerlo, ma i popoli, e questo è pericolosissimo. E’ inutile chiudere gli occhi, è così”, continua con preoccupazione. “Il fatto che a Bruxelles ci sia una casta di persone che non risponde a nessuno, che non viene eletta, che è lì da sempre e che lì rimarrà, sta penetrando nella mente della gente, degli europei, i quali si ribellano come possono: con il voto”.

Arrivata davanti alle possenti mura di un’antica torre duecentesca, un tempo atelier dell’artista Arturo Martini, Antonia Arslan si ferma un momento. “A Bruxelles dovrebbero accorgersi di quanto sta succedendo”, osserva. “Io ci sono stata tre volte, per presentare i miei libri e il film dei Taviani ispirato a “La masseria delle allodole”, e francamente comprendo il discorso della gente. D’altra parte recedere dall’Europa è una follia, ma governarla meglio no: questo è possibile”.

L’indifferenza ha fatto dimenticare per molto tempo il genocidio armeno ed è inoltre stata uno dei motori dell’Olocausto nazista. Oggi l’indifferenza sta accompagnando l’immane tragedia in atto alle porte di casa nostra. “L’essere umano è fatto così: devi risvegliare in lui delle energie che non sa neanche di possedere. Però, se anziché far riaffiorare quelle positive, punti alle energie negative, avrai coloro che seguono chi commette i genocidi, gli stermini”. E’ accaduto così anche in Armenia, racconterà poco dopo la scrittrice al suo attentissimo pubblico, quando “una grande quantità amorfa di turchi, non crudeli originariamente nell’animo, ha preferito per varie regioni seguire chi, dall’alto, aveva immaginato l’organizzazione di uno sterminio di massa”.

“Quella dell’energia positiva di ogni essere umano, della responsabilità di ciascuno, è una grande scommessa che i leader non riescono a comprendere. A volte svegliano nella gente delle cupe ossessioni e incoraggiano a credere che la difesa del proprio orticello sia una cosa possibile: ma non è così. Poi scoppia una guerra mondiale, o un genocidio, e allora tutto viene travolto: penso a ciò che ha patito il popolo ruandese, la volontà di annientamento che ha accompagnato la guerra fra gli Hutu e i Tutsi. Non dimentichiamoci mai che genocidio è una parola precisa che non significa solamente sterminio ma sterminio programmato dall’alto di una intera minoranza per motivi etnici, religiosi o politici.

È vero che le persone guardano alle proprie piccole cose ma di questo non possiamo imputare la colpa a loro, né pretendere di pilotarli dall’alto. No, dobbiamo semmai umilmente educare queste persone, parlare con loro, far capire che essere migliori, alla fine, paga. E molto”.

Monica Zornetta (Left, n. 25, 4 luglio 2015)

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Antonia Arslan è nata a Padova nel 1938, da una famiglia di origini armene (gli Arslanian), prima di cinque figli. Il padre, Michele, è stato un importante medico ed accademico, così come il fratello Edoardo. Laureata in archeologia, ha insegnato letteratura italiana moderna e contemporanea all’università di Padova. Nel 2004 ha scritto il primo dei suoi tre celebri romanzi sulla storia della propria famiglia e sul genocidio armeno: “La masseria delle allodole”, tradotto in 15 lingue e divenuto nel 2007 un film diretto dai fratelli Taviani, “La strada di Smirne”, del 2009, e il recente “Il rumore delle perle di legno”, tutti editi da Rizzoli.