Una modesta proposta per l’umanità: cerchiamo di essere più bonobo e meno scimpanzè

Sarà una “balena” a salvarci: la rivoluzione di Whale
06/06/2025
Sarà una “balena” a salvarci: la rivoluzione di Whale
06/06/2025

E niente. Evidentemente quell’umiliazione narcisistica che Darwin ci ha inferto due secoli fa non siamo ancora riusciti a superarla. Non del tutto, almeno.

Ci dolgono ancora le ossa, eccome se ci dolgono, da quando la sua teoria sull’evoluzione delle specie ci ha rivelati animali come gli altri, né più e né meno. O forse sì, un bel po’ più arroganti degli altri.

Siamo da sempre convinti – a torto – di essere la specie eletta perché dotata di ragione, coscienza morale, intelligenza, immaginazione e molto altro; la sola specie capace di altruismo e di empatia e perciò l’unica, tra tutte, a godere di una sorta di autorizzazione al dominio illimitato sull’universo.

Per molti secoli noi europei ci siamo titillati il fragilissimo ego immaginandoci seduti lassù, al vertice di una piramide celeste della vita grazie alle nostre qualità e a quel dono immortale che ci vantiamo di possedere: l’anima. Da lassù, abbiamo continuato a guardare al di sotto di noi, a un laggiù dove il nostro antropocentrismo ha relegato tutto ciò che non è umano: gli altri animali, le piante, i microrganismi. La Natura, insomma, nel suo insieme.

Ma poi è arrivato lui, Charles Darwin, e in men che non si dica ha tolto di mezzo la piramide facendoci precipitare giù, tra gli ingarbugliati rami di un albero dalla foltissima chioma. Più o meno alla stessa altezza di alcuni nostri sagaci cugini in pelliccia e senza coda.

Dovevamo ancora riprenderci dalla poderosa onta inflittaci da Copernico quando il naturalista britannico che aveva viaggiato per mare verso “le origini delle specie” ci ha assestato una nuova, fatale mazzata: noi Homo sapiens non siamo al di sopra degli altri esseri viventi, a un michelangiolesco indice di distanza dall’Ente Supremo, ma siamo prodotti di quel processo continuo e creativo chiamato evoluzione. Ed esattamente come tutti i viventi, abbiamo antenati comuni dai quali ci siamo gradualmente differenziati.

A quel punto, non ci è rimasto che rassegnarci al fatto di discendere dallo stesso progenitore delle scimmie antropomorfe: un ominide vissuto in Africa intorno ai 6 milioni di anni fa che aveva “solcato” il medesimo lussureggiante fogliame degli alberi dove i lontani ascendenti dei gorilla, degli oranghi e dei nostri cugini scimpanzè e bonobo (con cui condividiamo più del 98% di Dna) si sarebbero evoluti milioni di anni più tardi. Sceso a terra, il nostro antenato aveva “perso” la pelliccia e cominciato a camminare su due gambe, sviluppando anche un linguaggio complesso con cui esprimere pensieri astratti ed emozioni.

Tuttavia, una volta diventato sapiens, l’Homo non è riuscito a non odiare il branco da cui è nato e a non disprezzare la propria animalità. Ha perciò camuffato gli istinti primitivi sotto il sofisticato velo della civiltà e iniziato a usare la violenza più spietata come strategia, arrivando anche a uccidere per il potere, come peraltro accade tra i Pan troglodytes, gli scimpanzé maggiori, nei loro cruenti conflitti intra e intergruppo.

E arriviamo al nostro oggi (e mi perdoni il lettore per la velocità con cui ho dribblato decine di migliaia di anni di evoluzione) tra ecofobie, azzardate passeggiate tra in-umanità, trans-umanità, post-umanità e profondi paradossi esistenziali. Siamo quei primati che hanno calpestato il suolo della Luna ma siamo anche coloro che non prestano attenzione alla Terra; e mentre sappiamo dare vita a meraviglie, siamo anche capaci delle peggiori efferatezze.

Nessun primate non-umano è capace, infatti, di decidere a tavolino di sterminare altri popoli, renderli schiavi o trarre vantaggio dal loro sfruttamento. Nessuno dei nostri più stretti parenti in pelliccia ci può eguagliare in questo. Nemmeno coloro a cui di solito guardiamo per comprendere chi siamo, cioè gli scimpanzè, con le loro società competitive, monogame e gerarchizzate guidate da maschi alpha che usano l’aggressività organizzata e le alleanze per conquistare o mantenere il potere.

L’aggressività ha radici antiche in noi, ragion per cui non potremo mai eliminarla del tutto: possiamo però scegliere se darle voce o metterla a tacere. È a questo punto del discorso che entrano in gioco gli altri nostri cugini dal folto pelo scuro, i docili bonobo (Pan paniscus), ancor più geneticamente affini alla nostra specie di quanto lo siano i loro “fratelli” scimpanzè

Dei bonobo il primatologo Frans De Waal ha scritto: “Quando quegli occhi vivaci e penetranti si incrociano con i nostri e ci sfidano a rivelare chi siamo, capiamo subito che non stiamo guardando un “semplice” animale, ma una creatura di notevole intelligenza, con una chiara consapevolezza del proprio posto nel mondo. Stiamo incontrando un membro della stessa famiglia di primati senza coda, dal torace piatto e dalle braccia lunghe, a cui apparteniamo anche noi e solo poche altre specie. Sentiamo il legame antico prima ancora di fermarci a pensare — come tendono a fare gli esseri umani — a quanto siamo diversi”.

Come noi, infatti, e solo in parte come gli scimpanzè, i bonobo sono animali intelligenti, cooperativi, sensibili, compassionevoli, giocosi, empatici. Sono capaci di intuire le emozioni e le intenzioni altrui, condividono cibo e risorse anche con individui che non sono imparentati con loro e, specialmente le femmine, aiutano a proteggere e a nutrire i piccoli degli altri.

Più snelli e bassi dei troglodytes, i bonobo camminano spesso in posizione eretta e per la loro inclinazione più unica che rara a mantenere la pace all’interno del gruppo con la sessualità (che praticano in modo fluido, aperto, anche come collante sociale) sono scherzosamente ma inappropriatamente chiamate le scimmie hippy.

Vivono in comunità matriarcali nelle foreste a sud del fiume Congo, nella martoriata Repubblica democratica del Congo, e comunicano tra loro per mezzo di un sistema che combina vocalizzi e gesti in sequenze strutturate in base al significato (un po’ come facciamo noi con il linguaggio). Studi cognitivi e linguistici compiuti negli anni alla Georgia State University di Atlanta sul compianto Kanzi, forse il bonobo più famoso della storia, hanno permesso di stabilire che questi primati sono anche in grado di capire svariate migliaia di parole umane, usare i simboli in maniera funzionale e risolvere problemi cognitivi complessi. Insomma, anche loro ci insegnano che molto di ciò che pensavamo essere squisitamente umano, non è invece esclusivo della nostra specie.

«I bonobo sono molto speciali perché vivono in società guidate dalle femmine e mostrano alti livelli di sensibilità emotiva e di tolleranza sociale verso individui esterni al proprio gruppo», spiega al Domani la professoressa Zanna Clay, psicologa e zoologa dell’Università di Durham (UK). «I bonobo ci rivelano che la capacità di tolleranza sociale, empatia e sensibilità emotiva non solo verso i membri del proprio gruppo, ma anche verso quelli esterni, è profondamente radicata nella nostra storia evolutiva e in ciò che significa essere umani. La distruzione non deve necessariamente essere il nostro destino, soprattutto se saremo in grado di coltivare una maggiore empatia tra di noi e verso il mondo naturale, di cui siamo parte integrante».

Perché, allora, non impariamo da loro? Perché non permettiamo a questi nostri splendidi cugini di esistere e di ispirare con la loro vita e le loro qualità la nostra tortuosa umanità? Sono domande provocatorie ma necessarie perché siamo ormai giunti a un punto in cui dobbiamo per forza cambiare rotta se vogliamo continuare ad esistere come specie. Dobbiamo far prevalere in noi la natura pacifica, collaborativa accogliente, femminile di questa specie in via di estinzione su quella “scimpanzesca” della violenza, del dominio e della competizione. Stare dalla parte dei bonobo sarebbe anche un gesto politico radicale: una sfida ai valori patriarcali e capitalisti che strutturano le nostre società, e, insieme, un invito a immaginare nuove possibilità per l’essere umano, finalmente in relazione armoniosa con i propri simili e con la natura.

«Poiché noi Sapiens abbiamo preso un po’ dagli scimpanzè e un po’ dai bonobo, sta solo a noi scegliere se adottare l’una o l’altra. Purtroppo, oggi siamo ai minimi storici in quanto ad ispirazione dai secondi», riflette con noi il filosofo ed evoluzionista Telmo Pievani: «Pretendiamo di risolvere i conflitti con le guerre nonostante l’evoluzione ci insegni che i conflitti non risolvono niente e che, anzi, è più conveniente la cooperazione all’interno del gruppo, e persino quella tra specie diverse, che chiamiamo “simbiosi”. Gli scimpanzè pagano un prezzo molto alto per la loro aggressività. I maschi alpha fanno una vita d’inferno: hanno livelli di testosterone altissimi, sono stressati, muoiono prima degli altri; vivono con l’angoscia di essere spodestati e dover fare sempre nuove lotte per il territorio. Non ci sono paragoni: è molto più interessante e più sana la vita dei bonobo».

Monica Zornetta (Domani, 28 settembre 2025)

Il link: https://www.editorialedomani.it/idee/cultura/modesta-proposta-umanita-essere-piu-bonobo-meno-scimpanze-sqvmzcg3

Il pdf: Domani_pagina 28_Settembre_2025 Bonobo