Franco Freda: “Sulla strage di Brescia non si scoprirà mai la verità”

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Quella mattina di fine maggio 1974 in cui una bomba esplodeva in piazza della Loggia uccidendo 8 persone e ferendone 102, l’editore padovano di ispirazione nazista Franco Freda, alias Giorgio, si trovava nella vicina Milano. Era rinchiuso infatti, da qualche anno ormai, in una cella di San Vittore, accusato di aver organizzato con l’amico libraio Giovanni Ventura un’altra strage. La “madre”, secondo molti, di tutte le stragi: piazza Fontana. Il giorno in cui i comitati antifascisti e i sindacati si erano dati appuntamento nella grande piazza di Brescia, a Catanzaro cominciavano ad arrivare i fascicoli del massacro di Milano. Per motivi di ordine pubblico e legittimo sospetto la Cassazione aveva infatti deciso di spostare il processo dall’altra parte del Paese, a 1164 chilometri più a sud. E proprio in quella corte d’Assise nel 1977 compariranno per la prima volta Freda, brillante trentatreenne laureato in giurisprudenza, militante del Fuan, ordinovista della prima ora, seguace di una “aristocrazia che rifiuta il modello egualitario”, e il trentenne Ventura: arrestati nel 1972, nel 1979 verranno condannati all’ergastolo ma due anni più tardi assolti dalla corte d’Assise d’appello per insufficienza di prove.

Dopo che la Cassazione disporrà un nuovo rinvio a giudizio, il processo si concluderà nel 1985 a Bari con una nuova assoluzione. E quando, nel 2005, i giudici del Palazzaccio attribuiranno la responsabilità della strage milanese ad un “gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine nuovo” guidato proprio dai due, l’irrevocabilità dell’assoluzione farà loro da capiente ombrello, proteggendoli per sempre da nuovi processi. Se Ventura è deceduto nel 2010 a Buenos Aires, dove gestiva un ristorante italiano, Freda si è da tempo stabilito in Irpinia. Quindici anni fa è stato condannato per istigazione all’odio razziale con il suo Fronte nazionale e da poco si è sposato con la filologa Anna K. Valerio, madre dei suoi tre figli. Vive ad Avellino, dove alla lettura e all’ascolto di Bach, Bruckner e Beethoven affianca la direzione delle Edizioni di Ar.

Dal carcere Vincenzo Vinciguerra continua a sostenere che gli obiettivi del massacro di Brescia erano i manifestanti e non, come sostenuto da molti, i carabinieri. Sebbene estraneo ai fatti, qual è il suo parere?

Il 28 maggio del ’74 ero da tre anni dietro le sbarre e a San Vittore ricordo che cercavo il volo delle rondini. Vinciguerra si è inventato altri passatempi. Il problema sono quelli fuori, che lo prendono sul serio.

E’ possibile definirla una “strage fascista”?

Una prosecuzione della guerra civile, dunque. Una reazione di prepotenza all’insolenza dei vincitori, alle storture dell’Italia repubblicana, impestata, già allora, di corruzione, di macellerie (i minatori del Belgio, i morti del Vajont, gli operai intossicati nelle fabbriche o nelle cave). I fascisti, per essenza estranei ai giochi dei vincitori, decidono un’azione di guerra, l’unica intonata a quel clima di iniquità senza colpevoli, di ignavia bastarda. E colpiscono alla cieca “gli uomini che non si voltano”, per scomodare Montale. Sarebbe un buon plot per un romanzo, ma ho l’impressione che la realtà sia un po’ diversa.

Che cos’è allora? Un massacro di Stato? O altro?

Altro non so immaginare.

Continuano i depistaggi sulle stragi e sul caso Aldo Moro. Da parte di chi?  

Oh, altroché se continuano – e crescono con lo sfumare dei ricordi. Ma non a opera di improbabili “eminenze grigie”, di fantasmi che percorrano i corridoi dei palazzi del potere (quale?). Piuttosto dei troppi curiosi che ficcanasano da anni nelle piaghe della storia dell’Italia repubblicana. Da Ferdinando Camon, che ha scritto la storia più irrealistica (anzi, pervertitrice) che si potesse immaginare sul clima del neofascismo degli anni Sessanta e l’ha spacciata per verità, agli anonimi de “La strage di Stato”, che hanno inaugurato l’aureo filone della storiografia fantascientifica, sempre ricco di nuovi esponenti. Ma l’Italia non è un film di 007. In Italia tessere vere trame è impossibile: si smaglierebbero all’istante per uno sgambetto dell’ordito. L’Italia è il paese di Badoglio, del futticompagni, delle eccezioni alla regola. Questa è la verità. Indigesta, lo so.

Su Quex, il giornalino della destra nazional-rivoluzionaria, venne lanciata una campagna, Ecrasez l’infame, per eliminare fisicamente presunti collaboratori dei servizi segreti. C’era anche il suo nome e lei fu vittima di un’aggressione da parte di detenuti di destra nel carcere di Trani. Ma di quel mondo lei era un simbolo, tanto che alcuni progettarono un dirottamento aereo per liberarla.

E’ così che spesso finiscono gli amori non corrisposti. Tra sussurri e grida, tra calunnie e ripicche meschine.

All’ultimo processo per piazza Fontana, Ventura disse che dietro l’organizzazione della carneficina vi era la Cia.

Che straordinario Cagliostro è stato Ventura!

Nell’appello-bis per Brescia i giudici di Milano hanno disposto una perizia sulla capacità di Carlo Maria Maggi di stare in giudizio. “E’ un suo diritto”, dicono i famigliari delle vittime, sottolineando però il rischio che non ci sia mai un giudizio.

Il fatto che certi delitti non cadano mai in prescrizione fa sì che si passi dal “pianto e stridor di denti” allo stridore di dentiere. Uno spettacolo che varrebbe la pena evitare. Anche per riguardo dei giovani, che rischiano, così, di provare per i nostri ieri solo moti di scherno.

Restiamo su piazza della Loggia: un presunto memoriale di Ermanno Buzzi conterrebbe i nomi dei responsabili. Ne sa qualcosa?

Ricordo di aver fatto una smorfia di fronte alla “sproporzione” della pena che venne comminata a Buzzi. Il piccolo delatore va preso a calci, va bastonato, va giustiziato costringendolo a piantare alberi – non ucciso.

A suo dire sarebbe esistita in Italia una strategia della tensione? Un filo rosso che lega tutte le stragi, a partire da quella di Milano?

Una strategia del genere avrebbe richiesto un gagliardissimo stratega, un mandriano capace di ottenere obbedienza incondizionata, un italiano ogm. Io non ho mai avuto certe doti, e, d’altronde, negli anni ‘60-’70, i Gormiti non c’erano… C’era solo, da parte di tutti (rossi, neri, anarchici), un certo gusto nel portare al parossismo lo scontro politico.

Si arriverà mai alla verità su Brescia?

In questo clima? Ma scherza? Mai e poi mai.

Monica Zornetta (Corriere della Sera, 14 giugno 2015)

http://brescia.corriere.it/notizie/cronaca/15_giugno_15/freda-sulla-strage-brescia-non-si-scoprira-mai-verita-dda94944-133c-11e5-8f7b-8677cfd62f52.shtml